14/01/10

Il popolo di usurai continua ad insultare i cattolici.

La visita del Papa alla sinagoga di Roma è un fatto negativo». (Concordiamo: perche' il Papa continua a visitare luoghi disdiceboli,ndr?). È una posizione dura quella espressa dal presidente dei rabbini italiani, Giuseppe Laras, che domenica non parteciperà alla cerimonia nel Tempio maggiore di Roma. Un evento, dice, che «non porterà nulla di buono ma servirà solo ai settori più retrivi della Chiesa». Laras spiega che ci sono stati molti dissensi sulla presenza di Benedetto XVI dopo le nuove polemiche relative al processo di beatificazione di Pio XII, rilevando come l'ebraismo italiano avrebbe dovuto prendere una posizione molto dura sulla questione.

POLEMICHE SU PIO XII - Secondo Laras, che ha rilasciato un'intervista al Judische Allgemeine, giornale della comunità ebraica tedesca, dice che nulla di positivo può venire dalla visita di Benedetto XVI alla sinagoga: «Da questo incontro non deriverà nulla di positivo né per il dialogo ebraico-cattolico, né per il mondo ebraico in genere. L'unica che potrà trarne vantaggio sarà la Chiesa, in particolare nelle sue correnti più retrive. Qualora si verificasse un nuovo motivo di attrito con il mondo ebraico, potrà servirsi di questo evento per ribadire ed esibire la sua sincera amicizia nei nostri confronti». Laras spiega che l'ebraismo italiano non è stato coinvolto nella decisione da assumere in merito all'incontro con il Pontefice e alle iniziative da assumere dopo le nuove polemiche su Pio XII. La scelta di non disdire la visita «è stata presa unilateralmente dalle rappresentanze della comunità ebraica di Roma e dal suo rabbino capo», Riccardo Di Segni.

08/01/10

il Nord voleva una Guantanamo per la gente del Sud.

di MARISA INGROSSO

Per battere il brigantaggio, i piemontesi volevano aprire una «Guantanamo» in cui deportare tutti i meridionali. Le prove sono contenute nei Documenti diplomatici conservati presso l’Archivio storico della Farnesina e scovati dalla «Gazzetta».

Per quasi dieci anni, fino almeno al 1873, il Governo italiano le tentò tutte pur di avere un lembo di terra dalle potenze straniere per internare i meridionali ribelli. Subito chiese agli inglesi di impiantare una colonia di deportazione nel Mar Rosso. Trovando però le prime difficoltà, il 16 settembre 1868, il presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, Luigi Federico Menabrea, si rivolse al ministro a Buenos Aires, della Croce, perché sondasse la disponibilità del Governo argentino a cedere l’uso di un’area «nelle regioni dell’America del Sud e più particolarmente in quelle bagnate dal Rio Negro che i geografi indicano come limite fra i territori dell’Argentina e le regioni deserte della Patagonia».

Secondo Menabrea (che era nato nell’estremo Nord Italia, a Chambéry, oggi in territorio francese), la «Guantanamo dei meridionali» doveva sorgere in terre «interamente disabitate».
Il 10 dicembre di quell’anno, Menabrea diede anche istruzioni all’agente e console generale a Tunisi, Luigi Pinna, di «studiare la possibilità di stabilire in Tunisia una colonia penitenziaria italiana».

Il tentativo fallì per l’opposizione dei tunisini e allora i Piemontesi tornarono alla carica con gli inglesi. Obiettivo: spuntare l’autorizzazione a costruire un carcere per i meridionali sull’isola di Socotra (che è al largo del Corno d’Africa, tra Somalia e Yemen) oppure, quantomeno, avere il loro appoggio affinché l’Olanda concedesse analoga autorizzazione nel Borneo.

Il 3 gennaio 1872 il Governo inglese però fece sapere di non vedere di buon occhio il progetto piemontese di fare «uno stabilimento penitenziario» nel «Borneo o in un altro territorio dei lontani mari». E il 3 maggio, il lombardo Carlo Cadorna, ministro a Londra, scrisse al ministro degli Esteri, Emilio Visconti Venosta (milanese e mazziniano della prima ora; nella foto a sinistra), che era stata bocciata «la richiesta italiana di acquistare l’isola di Socotra come colonia penitenziaria».
Il 20 dicembre di quell’anno anche l’Olanda espresse i suoi timori: i deportati meridionali avrebbero potuto evadere mettendo a rischio i suoi possedimenti nel Borneo.

Intanto, le carceri dell’Italia Unita traboccavano di meridionali e i briganti continuavano a combattere. L’11 settembre 1872, il “Times” pubblicò una lettera giunta da Napoli che metteva in luce la recrudescenza del brigantaggio in Italia. Il “Times” ci aggiunse un articolo di fondo in cui non si risparmiavano sferzate ai Piemontesi per l’incapacità di «eradicare completamente una così grave piaga».

È PEGGIO DELLA FORCA
Convinto che la paura della deportazione in terre lontane avrebbe spaventato i meridionali più di qualunque tortura e perfino della morte, il ministro degli Esteri, Visconti Venosta, decise di mettere alle strette gli inglesi. Il 19 dicembre 1872, a Roma, incontrò il ministro d’Inghilterra Sir Bartle Frere e gli parlò chiaro. Il suo discorso è ancora agli atti, negli Archivi della Farnesina. Disse: «Se ci ponessimo in Italia ad applicare la pena di morte con un’implacabile frequenza, se ad ogni istante si alzasse il patibolo, l’opinione e i costumi in Italia vi ripugnerebbero, i giurati stessi finirebbero o per assolvere, o per ammettere in ogni caso le circostanze attenuanti».

«Bisogna dunque pensare - disse il ministro della neonata Italia - ad aggiungere alla pena di morte un’altra pena, quella della deportazione, tanto più che presso le nostre impressionabili popolazioni del Mezzogiorno la pena della deportazione colpisce più le fantasie e atterrisce più della stessa pena di morte. I briganti, per esempio, che sono atterriti all’idea di andar a finire i loro giorni in paesi lontani, ed ignoti, vanno col più grande stoicismo incontro al patibolo».

Sir Bartle Frere prese tempo ma i piemontesi non si arresero. È del 3 gennaio 1873 un documento confidenziale in cui Cadorna ragguaglia Visconti Venosta sul colloquio avuto col Conte Granville relativamente alla «cessione di una parte della Costa Nord Est dell’isola di Borneo». Il rappresentante del Governo italiano disse al ministro degli Esteri inglese che i briganti «avvezzi a mettere la loro vita in pericolo, resi più feroci dalla stessa lor vita, salgono spesso il patibolo stoicamente, cinicamente (esempio tristissimo per le popolazioni!). Invece la fantasia fervida, immaginosa di quelle popolazioni rende ad essi ed alle loro famiglie terribile la pena della deportazione. In Italia, e massime nel Mezzodì, ove è grande l’attaccamento alla terra, ed al proprio sangue, il pensiero di non vedere più mai il sole natale, la moglie, i figli, di passare, e finire la vita in lontano ignoto paese, lontani da tutto, e da tutti, è pensiero che atterrisce».
Granville però fu irremovibile: l’Inghilterra non avrebbe aiutato l’Italia a deportare i Meridionali.

MIGLIAIA IN CARCERE
Ma quanti erano i detenuti del Sud che marcivano nelle galere italiane? Secondo la rivista «Due Sicilie» (bimestrale diretto da Antonio Pagano), un’indicazione si trova in una lettera del savoiardo Menabrea, al ministro della Marina, il nizzardo Augusto Riboty. Menabrea sostiene che sarebbe stato «utile e urgente» trovare «una località dove stabilire una colonia penitenziaria per le molte migliaia di condannati» che popolavano gli stabilimenti carcerari.

A proposito della Marina militare, la Forza armata si prestò ad esplorare una serie di luoghi adatti alla deportazione dei meridionali. Il Borneo e le isole adiacenti, innanzitutto. ma anche - secondo documenti pubblicati da «Due Sicilie» - «l’est dell’Australia».
marisa.ingrosso@gazzettamezzogiorno.it

07/01/10

Fini non accetta la critiche.

Marcello VENEZIANI

E alla fine arrivò la minaccia estrema: scissione. Se non la smettete di criticare Fini, se non sbugiardate Feltri e punite il Giornale, facciamo la scissione. Mamma mia, l’arma atomica. La parola bellicosa è risuonata su alcuni giornali, un avvertimento lanciato dai finiani a Berlusconi. Lasciamo da parte i giudizi e i sarcasmi sull’entità di una scissione del genere e ricostruiamo i fatti. Dunque, da quando è presidente della Camera, Fini ha assunto posizioni sistematicamente divergenti non solo rispetto a Berlusconi e al suo governo ma rispetto al suo elettorato, alla storia del suo partito e ai programmi politici sottoscritti in questi sedici anni. Ha creato una profonda spaccatura nella sua base elettorale, ha messo in grave difficoltà gli stessi esponenti di An, a livello nazionale e locale; ha intralciato l’opera del governo, si è fatto perfino parlamentarista buttando a mare una vita da presidenzialista e ha compiuto vistosi tradimenti dei valori politici, civili e culturali su cui la destra, prima che il Pdl, ha chiesto e avuto consensi. Ha poi accusato Berlusconi di governare come un monarca, quando lui regnava su An con poteri assoluti.

Il Giornale ha liberamente e duramente criticato questa deriva finiana. La reazione è stata di stampo mafioso: chiedere al premier di zittire il Giornale, magari epurando chi osa criticare Fini. Se i finiani chiedono di chiudere la porta alla Santanchè, o a Storace, rientra nella normale dialettica interna; ma se il Giornale, che a differenza dei primi non ha obblighi di partito perché è un giornale di opinione, critica la Polverini candidata alla Regione Lazio, è accusato di guerra civile e di sfascismo. Del fascismo Fini avrà rinnegato tutto, meno una cosa, la peggiore: chiudere la bocca a chi dissente. O la volgarità squadristica degli attacchi alla Santanchè, paragonata a Cicciolina e accusata di esprimere valori retrivi solo perché lei è rimasta di destra. Il guaio è che non si tratta di semplici minacce, chi conosce Fini e quel mondo di caporali, ha esperienze anche dirette di censure, chiusure e cacciate, perché «non gestibile», perché «inaffidabile», cioè non servizievole, e così via.

Evito di farne la storia e di far volare gli stracci. Una vecchia militante rautiana del Secolo nota che io avrei scritto cose interessanti negli anni Ottanta; ma non ho colpa io se lei non legge da quegli anni e da allora è imbalsamata al Secolo, dove ha vissuto con pieno consenso la stagione del fascismo del Duemila e dell’antifascismo del Tremila. Nel frattempo ho fondato e diretto settimanali, fondazioni, ecc.; ho scritto una quindicina di libri che qualche effetto hanno avuto anche sulla sua destra, ho scritto su svariati giornali, ho fatto qualche altro migliaio di cose. Criticabili, per carità. Ora siamo al ridicolo. Lunedì, in un editoriale, ho sostenuto che se oggi Bossi prende piede è perché manca una destra in grado di bilanciare la sua presenza.

E l’organo dei finiani mi accusa di essere diventato leghista; scusate, ma io dicevo esattamente il contrario, che per frenare Bossi è necessario che ci sia una destra in grado di far sentire il suo peso e di esprimere valori, sensibilità e identità diverse. Se chiedo a Fini di rilanciare il presidenzialismo e l’identità nazionale per arginare il federalismo (a cui non credo) e la tentazione padana, sono leghista io o siete scemi voi che mi accusate di leghismo? Ma non solo. Non ho mai sostenuto una destra appiattita su Berlusconi, anzi ho sempre espresso la necessità di una destra che faccia pesare la cultura, il senso dello Stato e i suoi valori nel centro-destra; sostengo da tempo che l’assenza di Fini lascia a Berlusconi la sovranità assoluta sul Popolo della libertà. Ma loro traducono tutto questo in modo infame e servile: si è venduto al berlusconismo. Ma se capite l’italiano e non siete in malafede, io ho detto l’opposto: se sciogliete la destra non resta che Berlusconi. Non so a questo punto se prevalgano i cretini o i servi. Mi auguro si tratti per loro solo di un momento difficile.
Ma qualcosa impedisce di ragionare liberamente, guardando in faccia la realtà. Alcuni obbiettano, ma la destra che sta disegnando Fini è moderna ed europea. Esempio più vicino, Sarkozy, lui mica ripete De Gaulle. Bene, Sarkozy vinse le elezioni annunciando di voler rovesciare il ’68, il suo programma politico ebbe quella chiave di impostazione. Fini ha detto esattamente il contrario, che la destra deve diventare sessantottina con quarant’anni di ritardo: la chiamate destra moderna o forse è una sinistra tardiva? Ora io mi auguro che questa tendenza scissionista, solo per far dispetto al Giornale, sia solo un effetto diabetico delle feste. Ma se volete rompere davvero con il Popolo della libertà e sottrarvi come voi dite alla logica del 51 per cento, se avete nostalgia del tre per cento, ma questa volta con l’applauso della sinistra e dei media, siete liberi di farlo. Mettetevi in proprio e buona fortuna.

Anche se a me dispiace, lo dico con franchezza perché non sparo nel mucchio, conosco alcuni dei finiani e so che non tutti sono Ronchi, ci sono persone che stimo. Ma se scegliete quella via, poi, non pretendete che da destra vi giunga pure l’applauso di incoraggiamento. Siete come quegli atei che vogliono abolire la fede ma pretendono la benedizione religiosa. Infine dico ai finiani: ma non avete capito che il Gianfranco balla da solo, si è smarcato da tutti e non sopporta seguaci? Non molestatelo, rispettate la sua solitudine.