31/08/08

CampaniArrabbiata anche nel fantacalcio

Ecco la formazione con cui CampaniArrabbiata ha esordito nel fantacalcio:

SERENI Matteo TOR
GARICS Gyorgy ATA D
LEGROTTAGLIE Nicola JUV
PADOIN SIMONE ATA
VARGAS Juan FIO
HAMSIK Marek NAP
LEDESMA Cristian LAZ
SANTANA Mario Alberto FIO
FLOCCARI Sergio ATA
LAVEZZI Ezequiel Ivan NAP
MARTINEZ Jorge CAT

30/08/08

E il magistrato scarcerò il camorrista.


Capita di dover sopportare anche questo.
Il nipote omonimo del boss scissionista Raffaele Amato, di appena 18 anni ma già ben avviato negli affari di famiglia, ieri sera è stato arrestato, assieme ad un socio, a Melito, nonostante il tentativo dei vicini di casa di aggredire le forze dell'ordine per permettere la fuga dei loro protetti (a proposito, ma una perquisizione a tappeto da quelle parti quando?).

Tuttavia, il Giudice per le indagini preliminari non ha ravvisato i presupposti per la misura cautelare - nemmeno il pericolo di fuga, ohibò! - così i due camorristi in erba sono usciti di galera in meno di 24 ore con tante scuse. A saperlo prima avrebbero anche potuto evitare di tentare la fuga e di scagliare i vicini filocamorristi contro i carabinieri per consentire ad una terza persona di fuggire e portare quello che le forze dell'ordine non dovevano trovare. Coca o soldi, chissà.

Per i calci, i pugni e gli sputi che i carabinieri si sono beccati per operare i due fermi, non lo sapremo mai.

Per il giudice non sussistevano le condizioni per la custodia cautelare in carcere e, ora, di tempo per inquinare ogni prova possibile ce n'è persino troppo.

Tanto più che rimangono in piedi tutte le accuse: resistenza a pubblico ufficiale, lesioni e danneggiamenti, salvo detenzione e spaccio perchè, nel coas, l'operazione è sostanzialmente saltata.

Merita poi di essere riportata, a tal proposito, la testimonianza di uno dei carabinieri aggrediti( da La Repubblica) : «Amato mi ha minacciato. Guardandomi in faccia mi ha detto: "Dopo questo è meglio che ti fai trasferire, perché per te è finita. Ti faccio tagliare la testa"». Minaccia accompagnata dal pollice che accarezza la gola.

L´arresto, infatti, era stato rafforzato dall´aggravante del metodo mafioso, ma proprio questa circostanza è stata la prima a cadere. Il legale di Ferro e Amato, l´avvocato Luigi Senese (tanto di cappello!), ha portato davanti al giudice Enrico Campoli un dossier partendo dall´archiviazione per 93 No Global al G8 di Genova e passando per i 27 manifestanti arrestati in piazza della Signoria a Verona, fino ad arrivare al caso dell´omicidio di Filippo Raciti: in tutti i casi non c´è mai stata la detenzione in carcere. E, così, alla fine, anche per i due ragazzi di Melito la misura cautelare non è stata applicata.

Grottesco è però che il giudice scriva nel provvedimento di «arresto eseguito legittimamente», di un «pericoloso inseguimento», di «gravissime e inquietanti minacce», dopo una «fuga calcolata» e di «una folla minacciosa», che avrebbe addirittura tentato l´assalto alla caserma.

L'Avv Senese (tanto di cappello!) ha chiesto di non considerare (non si mai!) Raffaele Amato «un boss solo per il cognome che porta», anche se nei fascicoli della Dda e nel provvedimento firmato ieri dal gip, c´è la testimonianza di un´altra giovane leva del clan, Antonio Prestieri (oggi collaboratore di giustizia) nipote del boss Tommaso, che dice che il giovane Amato «non vive di luce riflessa dello zio», ma avrebbe una sua attività criminale indipendente (questa sì che è capacità imprenditoriale!).

E rimangono i fatti. Ieri sera, Raffaele Amato, dopo solo un giorno di carcere, è tornato all´interno della roccaforte degli Scissionisti, nel suo quartiere, tra chi al momento del bisogno si è fatto trovare in strada, al suo fianco. Ed è tornato libero ridendosela dei carabinieri e dei fessi.

L'episodio fa male, molto male. Fa male al comuni cittadini, ma fa male soprattutto alle forze dell'ordine che vedono così vanificati i loro sforzi e che, nonostante l'operazione non fosse andata a buon fine (la droga sparita! ), erano riusciti ad operare i fermi.

E', piaccia o meno, un dato statistico che la polizia riesca ad operare tot fermi durante l'anno, ma che la magistratura - la stessa che a Napoli indaga con i tempi di un elefante - non ne convalidi 1 su 3. Pertanto qualcosa che non va c'è.

Comunque andrà l'indagine, il sig Raffaele Lauro - stiamone certi - non si presenterà spontaneamente a Poggioreale. Intanto, tanto di cappello all'avvocato.

"La paranza è una danza
Che si balla nella latitanza
Con prudenza
ed eleganza
E con un lento movimento de panza.

Uomini uomini c'è ancora una speranza
Prima che un gesto vi rovini l'esistenza
Prima che un giudice vi chiami per l'udienza

Vi suggerisco un cambio di residenza
E poi ci vuole solo un poco di pazienza
Qualche mese e già nessuno nota più l'assenza
La panacea di tutti i mali è la distanza
E poi ci si consola con la paranza"

Già, la paranza...

29/08/08

La Chiesa che vorremmo: dallo scandalo di Salerno al coraggio di Don Ciro

Nella notte tra martedì 26 e mercoledì 27 agosto delle ombre hanno fatto esplodere la fiat panda di Don Ciro De Marco, parroco della Chiesa della SS. Vergine del Suffragio, al confine tra i comuni di Scafati, Poggiomarino e Boscoreale. Non è la prima intimidazione che riceve, ma chi lo conosce giura che di certo non si farà intimidire ora. Alcune settimane fa, il parroco aveva inviato una lettera al ministro degli Interni, al prefetto di Napoli e a quello di Salerno per denunciare provocatoriamente "il degrado insopportabile di questa zona con gare di moto, spaccio e utilizzo di droga” e per invitare le autorità competenti ad attivarsi. La lettera fu ripresa da qualche quotidiano locale e, subito, le ombre che non vogliono che i loro traffici siano disturbati, non hanno tardato a manifestarsi. Solo che Don Ciro gli occhi li ha voluti mantenere aperti - al contrario dei tanti ciechi per caso che, sfortunatamente, in Campania abbondano - e ha continuato da una parte a spingere i fedeli a riacquistare il dono della vista e, dall'altra parte, a lamentarsi dell'inoperosità dolosa delle forze dell'ordine. Don Ciro è un parroco coraggioso che, al pari dei cattolici che in India sono scacciati e uccisi dai fondamentalisti indù, fa risplendere quella Luce di cui egli è testimone..

Non lo è, forse, allo stesso modo il vescovo/imprenditore di Salerno Gerardo Pierro. L'Arcidiocesi di Salerno è, infatti, sotto inchiesta per aver trasformato un'ex colonia per ragazzi in un hotel a cinque stelle con finanziamenti pubblici pari a 2,450 milioni di euro. La Guardia di Finanza ha, inoltre, proceduto al sequestro di una parte dei fondi dell'otto per mille (provvedimento senza precedenti!). La somma, che si aggira sui di 509 mila euro, quasi un terzo dei fondi destinati dalla Cei alla Curia salernitana - era stata stanziata per lavori di piccola manutenzione sull'edilizia ecclesiastica. Niente di illegale sotto questo profilo, intendiamoci, ma sott'un altro (che si lascia al lettore) sorge più di una perplessità.

Gerardo Pierro - indagato per truffa, falso, abuso d'ufficio e violazione delle norme edilizie (pure!) - non è nuovo a queste bravate. Più che per la sua attività pastorale, a Salerno è conosciuto per la sua finanza creativa; anche perchè, più che un vescovo, sembra un segretario di partito.

Ad ogni elezione infatti - come ogni segretario di partito che si rispetti - non fa mai mancare il suo deciso, netto e disinteressato (!?) apporto alla coalizione progressista. Che si tratti di Ulivo, Unione, Partito Democratico o Triccheballacche, per lui l'imperativo è uno solo: indirizzare voti per la squadra del suo cuore, cuore che batte indubbiamente a sinistra. Pare, in camera caritatis, che si sia spinto a farlo anche dall'altare in più di un'occasione.

Ed è evidentemente curioso che - nello scandalo che ha travolto la curia salernitana - la regione Campania, governata da esponenti di quella parte politica che il vescovo ha a cuore e che frequenta, risulti parte lesa per aver stanziato un finanziamento di un milione e 900mila euro, anche questo sequestrato, per completare i lavori di ristrutturazione dell'albergo a 5 stelle. Tanto più che in passato la Regione aveva erogato altri 2 milioni 500 mila euro per il villaggio San Giuseppe.

Ora, non si intende di certo screditare la Chiesa (e per Chiesa si intenda tutta la comunità di fedeli) - anzi, la finalità è opposta - ma una domanda sorge spontanea ed è d'obbligo porsela:

non sarebbe, forse, più opportuno sostenere sacerdoti validi come Don Ciro piuttosto che andare a braccetto con l'assessore di turno?

Se è così, il vescovo di Salerno ha sbagliato mestiere.

27/08/08

Campania, la ricreazione è finita.

Antonio Gava, il ministro con l'anello da camorrista.

Arriva la notizia che l'ultimo viceré di Napoli sta morendo a Milano, in un letto dell'ospedale San Raffaele. Non è mai facile chiamare i potenti con il soprannome che gli è stato dato: però con Antonio Gava — gran capo democristiano della Prima Repubblica e leader adorato della corrente dorotea in Campania, straordinario gestore di tessere, affari, uomo politico in grado di favorire la nascita di governi, di creare segretari di partito, con De Mita che gli deve l'elezione a segretario, con Forlani che ancora lo ringrazia per il tradimento contro lo stesso De Mita, e con Andreotti e Craxi che da lui ebbero il permesso di far nascere il Caf — ecco, con Antonio Gava potevi davvero spingerti fino a chiamarlo come lo chiamavano tutti, viceré, appunto, e lui no, non si dispiaceva; piuttosto si schermiva, diceva che erano fantasie di giornalisti comunisti. Solo un autentico uomo di potere reagisce così. Ma Gava era, è stato il potere.

Finché, nel 1993 (all'epoca capogruppo al Senato) i carabinieri gli suonano alla porta. Mandato di arresto, l'accusa è di essere amico dei camorristi, di essere «boss figlio di boss» (come disse Francesco Cossiga), l'accusa è di aver controllato e sedotto Napoli barattando i voti con tutto, persino con i loculi del cimitero. Al maresciallo che gli notifica l'ordine, «lei è Antonio Gava?», lui risponde: «Lo ero». Poi s'impunta, spiega di essere stato ministro dell'Interno e pretende di essere portato al carcere militare di Forte Boccea. Segue un processo durato tredici anni e due mesi e conclusosi, in Appello, con l'assoluzione definitiva. «Se voi giornalisti siete onesti, ogni volta che vi capiterà di farlo, dovrete scriverlo: Gava è stato assolto». Ma tredici anni sono un'epoca, in politica. Così segue anche una richiesta di maxi-risarcimento allo Stato. Gava lamenta «un danno di immagine e poi pure un danno morale e fisico». La politica gliel'ha devastato, il fisico. Due ictus, un'operazione alla prostata, un coma dal quale uscì raccontando di aver sognato il Padreterno: «Signore, dammi altri due giorni, fammi preparare, e poi lascio». Ironico — «la politica è come il Lotto: l'importante è stare tra i primi 90 numeri» — intelligente, lucido, certamente cinico, scettico sugli uomini e, quindi, profondo conoscitore delle loro debolezze. Però mai ottuso, mai insensibile, mai modesto. Ugo Baduel, grande inviato speciale dell'Unità, raccontò come Gava riceveva nel suo lussuoso appartamento di via Petrarca, a Posillipo. Egli compariva di solito all'improvviso, nel salone, spuntando da una porta, la porta di un cubo di cemento, una sorta di piccolo bunker casalingo, attrezzato come per accogliere riunioni assai riservate: Gava incedeva verso gli ospiti indossando una lunga vestaglia rossa, di raso, con i risvolti neri. In mano teneva un sigaro.

Su un dito, luccicava un grosso anello, vistoso e pacchiano. «'U ciciniello, tiene 'u ciciniello», si raccontavano, in quegli anni, i napoletani, ben sapendo che quel genere di anello è in dotazione solo agli uomini d'onore. E Gava, a chi gli chiedeva perché mai se lo lasciasse baciare, 'u ciciniello, ha sempre risposto: «Una volta sola, è capitato. Una sola volta perché un mezzo segretario della Dc di Gragnano, un po' cretino, si chinò per baciarmelo. C'era un fotografo, e da lì è nata la fiaba. Che, tra l'altro, non tiene conto di un dettaglio decisivo: a me, la saliva fa pure schifo». Ironico, si diceva. Certo: e anche malleabile. Ma solo apparentemente. In realtà irremovibile, e poi duro, se necessario, tenace (trattò con terroristi e camorristi per la liberazione del suo fedelissimo Ciro Cirillo) e poi soprattutto svelto a capire le situazioni. Per dire: sbarcò a Roma, alla Camera, nel 1972, cioè giusto un anno prima che il colera a Napoli travolgesse la sua poderosa e ricca macchina politica.

Dal padre Silvio, cresciuto nel Partito popolare di don Sturzo e senatore nel collegio di Castellammare di Stabia, aveva ereditato una imponente rete di conoscenze, amicizie e incarichi: Banco di Napoli, Cassa per il Mezzogiorno, Ente Porto. Ma quando i napoletani, infestati dai vibrioni delle cozze, cominciarono a chiamarlo don Antonio Fetenzia, lui era già lontano. A preparare il ritorno. Che coincide con il terremoto in Irpinia e a Napoli del 1980, con il bradisismo di Pozzuoli tra l'84 e l'85. Sciagure a catena che portano però soldi pubblici e appalti, e che di riflesso alimentano una micidiale sfida, tutta interna alla Dc, tra lui e Paolo Cirino Pomicino, il medico che invece delle corsie d'ospedale preferisce l'attività sindacale e quindi la politica attiva, la Dc, intuendo che a Napoli serve un condottiero capace di osare e di spezzare, per conto di Giulio Andreotti, il monopolio, appunto, di Antonio Gava. Siamo, come è agevole intuire, dentro la memorabile stagione che farà di Napoli il vero laboratorio dell'ultimo potere democristiano. Quello che poi verrà travolto da Tangentopoli. Gava, appena tre anni fa, diceva che i «magistrati, questi gran cornuti, sapevano tutto da sempre, sapevano che i partiti si finanziano illecitamente, ieri come oggi. Però i comunisti li hanno lasciati stare, Craxi aveva proprio ragione, e hanno tolto di mezzo soltanto un partito, la Dc». Così, in una delle ultime interviste, spiegò di aver preso a votare per Silvio Berlusconi.

Fabrizio Roncone da Il Corriere

26/08/08

Torre Annunziata, la gavetta di tre futuri camorristi.

Torre Annunziata, l'antica Oplontis, è stata - fino all'annessione all'Italia - un piccolo gioiellino incastonato nella Campania Felix in cui i nobili napoletani e i viaggiatori, in Italia per il gran tour, non mancavano di andare. Oggi è solo terra di camorra in cui il degrado più completo è il padrone incontrastato e vivere è diventato assai difficile. A ricordarci che è stato un luogo eslusivo di villeggiatura per quasi due millenni, sono rimaste le ville vesuviane dell'7/800, i siti archeologici (per la maggior parte non accessibili!) dell'antica città e pari, per bellezza, a quelli di Pompei ed Ercolano e un panorama ancora stupendo. Tuttavia, nessuno più si fermerebbe in vacanza a Torre Annunziata.

Non così, però, devono aver pensato una coppia di turisti tedeschi che, inconsapevoli del fatto che l'Italia (e il meridionale in particolare!) non è la Germania, si sono accampati con la tenda in una spiaggia - sporca ed isolata - tra Torre e Castellamare di Stabia (altro gioiellino con i Borbone!) con il pericolo di fare brutti incontri.

Il presentimento, infatti, non ha tardato a manifestarsi: i due fidanzati sono stati rapinati da tre malviventi, la donna stuprata a turno e il loro cane ucciso.

Almeno, buona notizia nella tragedia, uno dei responsabili è stato individuato. Si tratta del figlio 16enne di un boss dei Gionta, il più potente clan camorristico di Torre Annunziata. Il giovane criminale è stato fermato mentre si trovava in Chiesa per il matrimonio del fratello. In un calzino teneva nascosta la pistola usata per la rapina.

Le modalità dell'aggressione ricordano la violenza consumata da due rumeni ai danni dei cicloturisti olandesi a Roma. Solo che diversi saranno gli esiti dei due tristi episodi.

Il ministro degli interni Maroni ha promesso che i due rumeni saranno espulsi dal nostro paese. I tre aspiranti camorristi, invece, dovremo tenerceli.

Vigente il diritto romano e quello comune sarabbero stati inseriti in una lista di proscrizione e banditi dal paese. Non è così, purtroppo, oggi: la cittadinanza italiana va a tutti.

Uomini, donne e anche bestie.

24/08/08

Berlusconi ha colto le ragioni della Russia.

Una nave da guerra statunitense ha superato lo stretto del Bosforo entrando nel Mar Nero. L'unità, la Uss McFaul, ufficialmente carica di aiuti umanitari, ma armata di missili tattici, è la prima di una squadra che Washington ha annunciato di voler inviare nella regione, ossia nelle acque dello spazio vitale russo. Tbilisi intanto, infischiandosene dell'accordo siglato dopo la mediazione UE, ha prolungato lo “stato di guerra” fino all'8 settembre. I media, imbarazzati di fronte all'insistenza americana e georgiana nel cercare la guerra, hanno scelto di dare poco rilievo alle azioni sfrontate dei guerrafondai. C'è da comprenderli perchè è difficile cercar di nascondere chi vuole la guerra e chi invece non fa che rintuzzare provocazioni e aggressioni. Meno comprensibile, davanti a questo scenario, è l'ottusità di chi continua a tifare per la Georgia ignorando che si tratta di un vero e proprio protettorato di Israele per il suo dominio geopolitico nel mondo. Tanto è vero che stiamo assistendo ad intimidazioni di stampo mafioso da parte degli USA a quei paesi che non vogliono assoggettarsi passivamente allo scellerato piano del sionismo internazionale. Ieri, proprio quando Parigi aveva da poco sostenuto Mosca nella crisi osseta, degli aerei Nato hanno massacrato i parà francesi in Afghanistan. Va specificato che i parà non sono stati uccisi tutti all'inizio dello scontro. Alcuni sono stati uccisi dai soldati afghani che li accompagnavano, altri sotto i colpi degli aerei della Nato, ovvero sotto il “fuoco amico” di quei rinforzi che avrebbero dovuto salvarli. Un episodio curioso che dovrebbe fare riflettere sulle ragioni della RUSSIA e la legittimità della sua reazione. A tal proposito merita di essere lodato BERLUSCONI che ha sempre saputo mantenere un rapporto privilegiato con il prode Putin e che ha capito che con la RUSSIA bisogna dialogare perchè all'Italia conviene politicamente ed economicamente.

Anche perchè stavolta i prepotenti di sempre hanno fatto male i conti.
Scrive Gabriele Adinolfi: "L'offensiva diplomatica, terroristica e militare scatenata dagli Usa e Israele, tramite il valvassino georgiano, contro la Russia, rischia di ritorcersi in modo davvero pesante sui guerrafondai. Dapprima i russi hanno spazzato via gli aggressori e sono penetrati con estrema facilità fino alla periferia della loro capitale, poi la UE, malgrado le frasi di circostanza, ha dato sostanzialmente ragione a Mosca. Washington, apparsa meno prudente di Tel Aviv, ha allora provato a spezzare il fronte europeo, e soprattutto ad aizzare la Nato contro la Russia.
Scudo antimissile in Polonia e inserimento della Georgia nella Nato (contro le solenni promesse fatte in merito al Cremlino da Bush e Clinton) sono le risposte alla risposta russa all'aggressione subita. Non è un mistero per nessuno che gli Usa, in enorme difficoltà sullo scacchiere mondiale e preda di una crisi finanziaria senza precedenti, accarezzino l'ipotesi di una guerra generalizzata e gettino benzina sul fuoco che essi stessi hanno acceso e che alimentano con particolare applicazione da nove anni in qua. Eppure le ulteriori risposte alle loro manovre bellicose rischiano di non essere proprio quelle che Casa Bianca e Pentagono si attendevano. Al loro proclama “congeleremo i rapporti con la Russia”, il ministro degli Esteri moscovita, Serghei Lavrov, ha ricordato che “è la Nato ad aver più bisogno della Russia che non il contrario. Specialmente in Afghanistan dove si gioca il futuro dell'Alleanza”. Ovvero, se gli Usa non faranno marcia indietro, il territorio russo non sarà più utilizzabile per i rifornimenti della forza multinazionale che veglia sulla lottizzazione tra le potenze industriali delle coltivazioni d'oppio e delle rotte delle pipelines, lottizzazione che ha un'importanza cruciale nel dominio mondiale. A questo primo diretto in faccia, che i russi avvertono che potranno tirare a chi li sta provocando con ostinazione e sfrontatezza, si aggiunge una minaccia almeno da knock down se non proprio da ko. Il 28 agosto, ovvero all'indomani della probabile ufficializzazione del'indipendenza di Abkazia e Ossezia del sud, è previsto un vertice dell'Organizzazione di cooperazione di Shanghai (Sco) cui partecipano oltre a Russia e Cina le repubbliche centroasiatiche che fanno parte della zona cruciale per il dominio planetario secondo Brzezinski (ideologo della Trilateral, massimo esponente attuale della dottrina estera americana, consigliere, oggi, di Obama). La Russia è riuscita in questi anni a far sì che la penetrazione americana nell'area sia stata contrata e progressivamente rintuzzata. Dopo la cacciata degli americani dall'Uzbekistan questi ultimi conservano la base Nato in Kyrghizistan, una base dal valore strategico incommensurabile. Mosca lascia trapelare che la Sco potrebbe spingere per la sua chiusura; un eventualità che definire disastrosa per Washington sarebbe molto più che un eufemismo. E c'è di più. L'intero programma satellitare americano è a rischio. La Nasa ha programmato di rimuovere la flotta Shuttle e di sostituirla con le nuove navicelle Orione; ma serve un interregno di almeno un quinquennio, periodo durante il quale dovrebbe utilizzare, da accordo con Mosca, le Soyuz russe. Il “congelamento” renderebbe questa strada impraticabile. E solo il ricorso ai satelliti cinesi potrebbe, forse, togliere gli americani d'impaccio: ma, interessi economici a parte, non è affatto certo che Pechino sia disponibile per questa soluzione. Inoltre Mosca ha fatto sapere che è disposta a dotare la Siria di SS 20. Questo preoccupa Israele che già parla di una missione diplomatica distensiva al Cremlino.

Morale della favola: nulla ancora è deciso, i giochi non sono certo fatti ma stavolta potrebbe finire proprio come la favola dei pifferai di montagna, che vennero per suonare ma furono suonati".

18/08/08

Bassolino non si processa.

In questo video ho cercato di riassumere, per i più "pigri", in poco più di 3 minuti, le principali bravate di Antonio Bassolino. Spero solo di essere stato abbastanza chiaro per tutti nonostante abbia commesso diversi errori che, tuttavia, non intendo rivedere perchè anche io sono pigro. La canzone è "Va tutto molto bene" degli Aurora.

Sperando di aver fatto un lavoro utile, vi invito a farlo girare.

La Georgia bara anche alle Olimpiadi.

E' finita tra le polemiche la sfida di beach volley femminile tra la Russia e la Georgia. Le atlete russe, eliminate dalle georgiane, hanno fatto notare di essere state buttate fuori, in realtà, da due brasiliane naturalizzate a suon di dollari. E il presidente della federazione georgiana ha risposto a brutto muso: zitte voi che ci state invadendo. "Abbiamo giocato contro il Brasile, non la Georgia" , ha detto la russa Alexandra Shiryaeva dopo l'incontro, perso per 1-2: "Queste non conoscono nemmeno il nome del presidente georgiano". Non ha tutti i torti, la ragazza: Christine Santanna e Andreeza Chagas hanno ottenuto la cittadinanza della Georgia senza nemmeno vivere in questo Paese. I loro nomi sono stati cambiati in Saka e Rtvelo, che sono poi le due parti del nome Georgia in lingua locale. Stesso discorso, e ancor più comico, per la coppia del beach volley maschile georgiano: altri due brasiliani ingaggiati dietro lauto compenso che si chiamano Renato Gomes e Jorge Terceiro, ma per esibirsi nel loro sport, non solo ai Giochi, si sono fatti ribattezzare Geor e Gia.

Il presidente della Federazione volley georgiana, Levan Akhvlediani, ha replicato alle accuse delle russe schiacciando duro, pure troppo: "Qui è solo sport e le guerre è meglio vincerle sui campi di gara: sono notti che non dormo per l'invasione russa del mio paese. Con le loro proteste le russe si sono dimostrate cattive perdenti. Ora che sono state sconfitte si lamentano di essere state battute dal Brasile, se avessero vinto, avrebbero detto di aver battuto la Georgia. Dopo lo scoppio della guerra molti dei nostri atleti volevano andarsene da Pechino, ma siamo rimasti su ordine del presidente Saakashvili e abbiamo continuato a gareggiare nel rispetto dello spirito olimpico, nonostante la preoccupazione, senza avere praticamente notizie delle nostre famiglie. Ma ora a casa sono sicuro che tutti sono molto contenti".


Geor e Gia invece avevano perso tre giorni fa contro il Brasile vero, campione olimpionico in carica (Ricardo ed Emanuel), col quale dividono allenatori e centro tecnico di preparazione: "In Georgia non è che ci stiamo molto: per il beach volley il Brasile è molto meglio". Solo per quello, naturalmente.

16/08/08

La schizofrenia della Lega

La Lega, partito che del regionalismo fa la sua ragione sociale, non ha esitato a prendere posizione a favore dell'indipendenza, illegale e unilaterale, decretata dalla narcorepubblica del Kosovo. La sua voglia di micronazionalismo è tale che la Lega, pur essendo schierata contro l'espansione islamica, ha voluto ignorare che il Kosovo, oltre ad essere una narcorepubblica inquadrata nel campo americano, è regione a maggioranza musulmana. Ora, tuttavia, il Carroccio non ha sostenuto la volontà del popolo osseta e si è schierata, al contrario, con gli invasori georgiani. Non è questa schizofrenia? O dobbiamo sospettare che la Lega, che tanto parla di autonomia, non è autonoma affatto ma dipende da qualcuno?

Intanto Bossi sostiene che bisogna reintrodurre l'ICI, l'imposta che il governo ha appena fatto abolire con il voto favorevole di tutti i ministri leghisti, Bossi incluso.
Sì, è proprio schizofrenia.

La BCE sostiene il dollaro coi soldi nostri.

Mentre Bush persegue la sua mega-politica imperiale, l’economia USA, letteralmente, fonde come un gelato a ferragosto. I pignoramenti di case sono saliti del 55% a luglio rispetto a un anno fa; ciò significa che una famiglia su 464 ha ricevuto notizia di insolvenza, o ha visto mettere all’asta la sua casa, o se l’è vista prendere dalla banca creditrice.

Con punte tragiche in certe zone: in un’area metropolitana della Florida, Cape Coral-Fort Myers, una famiglia su 64 ha perso o sta perdendo la casa; in California, una famiglia ogni 186; in Nevada, una ogni 106. Le banche si trovano con almeno 750 mila unità immobiliari sequestrate, che non riescono a vendere nemmeno a prezzi drasticamente calanti. Eppure, il peggio deve ancora avvenire.

Circa un milione e mezzo di famiglie (per lo più in California) sono incatenate ad un tipo di mutuo variabile più velenoso dei sub-prime. Si chiama «Option ARM» (Adjustable Rate Mortgage), perchè i debitori hanno scelto di pagare le prime rate ad un tasso addirittura inferiore al mero interesse (cioè senza la quota di restituzione del capitale), mentre la quota non pagata si aggiunge al prestito originale, fino a quando raggiunge un certo ammontare (tra il 110 e il 125% del prestito d’origine); a quel punto il mutuo viene «riformulato» (recast) e il debitore deve pagare un rateo aumentato, di colpo, del 60-80%.

Ciò poteva ancora andare quando i prezzi immobiliari salivano; oggi, coi prezzi calanti, è un nodo scorsoio strangolatore. I proprietari si trovano a pagare enormemente di più del valore attuale della casa. E ovviamente non pagheranno, preferendo abbandonare l’immobile e rendersi introvabili. Ciò sta anzi già avvenendo; ma il grosso delle «riformulazioni» avverrà fra ottobre e marzo 2009. Con relative insolvenze a catena, e conseguenze esplosive per le banche creditrici.

Perchè il mercato delle opzioni ARM vale 400 miliardi di dollari, la metà della bolla dei subprime (1 trilione), ma colpirà un sistema bancario già alle corde. La linea di credito di emergenza aperta per Fannie Mae e Freddie Mac, le «assicuratrici» semi-statali dei mutui, è di 800 miliardi, e verrà dunque rapidamente risucchiata dagli ARM; peggio ancora, le opzioni ARM, coriandolizzate e confezionate, sono sparse in fondi di ogni genere, e su di esse è stato creato un business di derivati da trilioni di dollari, che dunque è minacciato di implosione, tale da gettare le banche nell’abisso.

Ciò pone la domanda: come mai, in quessta situazione fallimentare, il dollaro si è apprezzato sull’euro? Banche e imprese denunciano perdite colossali, i bilanci degli Stati sono in rosso profondo, la disoccupazione aumenta, e in questa rovina il dollaro risale.

La risposta viene da James Turk, analista e fondatore di Gold Money: «Le Banche Centrali sono intervenute a sostenere il dollaro, e ne posso dare la prova. Quando le Banche Centrali intervengono sui mercati valutari, comprano dollari con le loro valute; poi usano i dollari per comprare titoli di debito di Stato USA, per lucrare un interesse. Questi titoli di debito acquisiti dalle Banche Centrali sono conservati in custodia presso la Federal Reserve, e questa ne riporta l’ammontare ogni settimana. Ebbene: al 16 luglio 2008, la Federal Reserve riportava di detenere 2.349 miliardi di dollari (2,35 trilioni) in Buoni del Tesoro custoditi per conto di stranieri. Tre settimane dopo, i titoli in custodia erano più di 2,4 trilioni. Il che, in un anno, fa una crescita del 38,4%. Dunque le Banche Centrali accumulano dollari ad un ritmo mai visto, ingiustificato rispetto al deficit commerciale americano. La conclusione logica è che stanno sostenendo il dollaro, per impedirgli di precipitare. Provocando un rialzo, non troppo difficile da ottenere visto l’effetto-leva usato dei fondi hedge».

Il calo del barile e dell’oro è stato, con ogni probabilità, manipolato al ribasso allo stesso modo. E’ chiaramente all’opera il cosiddetto «Plunge Protection Team», il semisegreto gruppo di finanzieri (ufficialmente si chiama President’s Working Group on Financial Markets) allestito appunto per manipolare i cambi e i corsi onde contenere, o almeno ritardare, una catastrofe, a forza di effetti-leva.

Ellen Brown, un’avvocatessa civilista che studia i trucchi finanziari (il suo ultimo saggio ha per titolo «The Web of Debt», la rete del debito) sospetta addirittura che il conflitto in Georgia possa essere stato scatenato per distrarre dalla enorme crisi che incombe. E ricorda il film «Wag the dog» (in italiano «Sesso e potere»), il film del ‘97 in cui un consigliere della Casa Bianca (Robert De Niro) contatta un produttore di fiction tv (Dustin Hoffman) e gli dice: «C’è una crisi alla Casa Bianca, e per salvare le elezioni bisogna fingere una guerra». Il presidente USA nel film è travolto da uno scandalo sessuale, e per salvarlo si finge una guerra contro... l’Albania, naturalmente tutta inventata, e resa nei TG a forza di effetti speciali elettronici.

Ohimè, il conflitto georgiano è una realtà. Anche se forse non a caso Saakashvili ha attaccato l’Ossezia il 7 agosto, il giorno in cui la FED ha pubblicato i dati sugli inauditi volumi di acquisti di BOT americani da parte delle Banche Centrali. Ma su questo ultimo punto bisogna concentrarsi.

«Quali» Banche Centrali stanno dilapidando miliardi per sostenere il dollaro? Se tra queste c’è la Banca Centrale Europea, com’è probabile, bisogna concludere quanto segue: la BCE, con il suo tasso primario rialzato fino al 4,25%, ha mandato l’economia europea in recessione - e però aiuta gli americani, non gli europei. La scelta di mantenere l’euro fortissimo, di restrizione del credito (denaro caro), e per conseguenza di minori esportazioni, sta provocando la contrazione dell’area europea, dello 0,2% in complesso, ma con drammatiche situazioni secondo i paesi.

La Spagna è in situazione di emergenza, tanto da costringere Zapatero a stanziare d’urgenza 20 miliardi di euro per lavori pubblici, tagli fiscali e sostegno ai mutui - tipici rimedi anti-ciclici. L’Italia e la Francia hanno visto contrarre le loro economie dell’ 0,3% nel trimestre; la Germania si è contratta ancora di più (0,5%), perchè più industrializzata e più esportatrice. L’Islanda è ormai in recessione, ossia crescita negativa, di un inquietante 3,7%. In crescita negativa sono anche Irlanda, Danimarca, Lituania ed Estonia, mentre rallentano drammaticamente l’Olanda e la Svezia.

Insomma tutta la zona euro è in recessione per la politica di «denaro scarso e caro» instaurata dalla BCE; sarebbe irritante apprendere che il denaro, reso così scarso in Europa, la BCE l’ha trovato (o stampato) in abbondanza per comprare BOT americani, ossia del Paese più indebitato del mondo.

La caduta della Germania, comparativamente più rapida, ha allarmato la Confindustria tedesca (BDI), che ora sarebbe favorevole ad un abbassamento dei tassi. Ma il delegato tedesco alla BCE, Axel Weber, fa il sordo e resiste: «La fiducia espressa da alcuni osservatori, che la crescita economica indebolita stia raffreddando l’inflazione, è secondo me prematura», ha detto. Traduzione: la BCE ci sta portando deliberatamente in una recessione per scongiurare la spirale inflazionistica prezzi-salari. La BCE è convinta che ci sia un’inflazione da eccesso di moneta. Quella moneta che ci fa mancare.

Invece sì, l’inflazione c’è (ufficialmente del 4,1%), ma essa dipende dai rincari mondiali del petrolio e degli alimentari, su cui le manovre della BCE non hanno alcun potere. Ma se si tolgono dal calcolo greggio e alimentari (la misura si chiama «core inflation») si vede che la pretesa inflazione è già divenuta deflazione: i prezzi d’altro genere sono infatti diminuiti dell’1,8% rispetto all’anno scorso. A soffrire di più sono ovviamente i salari, il cui potere d’acquisto è stato brutalmente accorciato. D’altra parte, l’obbligo europeo di limitare il deficit al 3% del PIL impedisce ai governi di attutire la recessione con un aumento della spesa pubblica; anzi, l’Italia deve stringere i cordoni in piena recessione (infatti le tasse non vengono tagliate, nonostante le promesse, e i consumi non vengono stimolati da iniezioni di potere d’acquisto ai salariati e pensionati). Il nodo scorsoio si stringe.

La Spagna, come abbiamo visto, s’è infischiata dell’imperativo di limitare il deficit a 3%, ed ha varato il pacchetto d’emergenza con 20 miliardi di spesa pubblica aggiuntiva: ma non solo ha un debito pubblico inferiore a quello italiano, la sua crisi - essenzialmente lo scoppio della bolla immobiliare - è più grave. Se avesse ancora la propria moneta, dovrebbe svalutarla del 30% per riportare a galla la sua economia. Avendo l’euro, non può farlo perchè la Germania e la BCE non voglione deprezzare l’euro. Le banche spagnole più esposte al crollo immobiliare (la Spagna ha oggi 800 mila appartamenti di troppo) si fanno prestare i soldi dalla BCE, almeno 49,4 miliardi di euro.

Lo fanno con un trucco: emettono obbligazioni - che il pubblico non comprerebbe - al solo scopo di consegnarle alla BCE per ottenerne liquidità. In questo modo, di fatto, le banche ispaniche si fanno sostenere dai contribuenti di tutta Europa, specialmente tedeschi, per restare a galla - con un metodo surrettizio e forse illegale. E allora perchè non può fare altrettanto la Grecia, che dovrebbe svalutare del 40%? Magari lo farà, visto il precedente spagnolo: e lo faranno l’Italia e l’Irlanda e l’Islanda. Ma la Germania in piena contrazione, avrà voglia di pagare surrettiziamente col denaro dei suoi contribuenti, il salvataggio di metà dei Paesi europei?

Sarebbe increscioso scoprire che, con questi guai in vista - nè più nè meno che il pericolo di spaccatura della moneta unica europea - la BCE trova il modo di spendere altri miliardi di tutti noi per comprare i BOT di un’America in rovina, che per di più ci vuole rifilare nella NATO anche la Georgia, e con ciò spingerci in rotta di collisione con la Russia.

15/08/08

Per un nuovo ordine mondiale

Tremonti non era ancora ministro, e già il Corriere attaccava la sua politica. Lo ha fatto attraverso il suo economista-maggiordomo preferito, Francesco Giavazzi.
Un tipo di inquietante avvenenza, che sorride fisso mentre auspica catastrofi sociali, uno che ha cercato di convincere la sinistra che il liberismo è di sinistra.

Giavazzi se la prende con Tremonti «tentato dal protezionismo»: nel collasso del capitalismo terminale, mentre anche in USA Alan Greenspan raccomanda interventi pubblici per i poveracci che non riescono a pagare il mutuo variabile (mutui a tasso fisso e basso, di Stato), Giavazzi difende il mostro che ci sta ingoiando.
E’ per questo che prende lo stipendio: è il Magdi Allam del liberismo sfrenato.
Il personaggio deride Tremonti che ha parlato di «dazi e quote per difendere le nostre produzioni dalla concorrenza asiatica».

Ma va là, sprezza il Giavazzi ridens: le nostre aziende non hanno bisogno di protezione.
E cita una certa Eurotech, aziendina di Udine che «ha conquistato una nicchia mondiale nei nanocomputer», tanto da aver acquistato un’azienda cinese.
«Un acquisto che Pechino probabilmente non avrebbe gradito se l’Italia avesse imposto dazi sulle sue esportazioni».
Cita solo la Eurotech, Giavazzi.
Anche se assicura che l’ha pescata da «un campione di 4.200 piccole e medie imprese» studiato da Bankitalia, che sono «piene di vita».

Per lui, vale la pena di aver perso centinaia di migliaia di posti di lavoro nel tessile, nel calzaturiero, nell’alimentare, in tutti quanti i settori, perché la Eurotech di Udine viva.
Giavazzi è così, promuove la distruzione creativa.
Miriadi di aziende italiane, sotto la concorrenza cinese, hanno chiuso: ma erano «marginali», non meritano lacrime.
E’ questo il metodo-Giavazzi: il darwinismo portato in economia.

Non si tratta infatti di un economista, ma di un ideologo.
Tutto ciò che dice non ha nulla a che vedere coi bisogni umani, che l’economia dovrebbe soddisfare; è la difesa del dogma.
Il dogma deve restare vigente, a prezzo di vite umane.
Tremonti ha chiesto una «riduzione delle regolamentazioni comunitarie», che impongono costi sconosciuti ai produttori cinesi?
Giavazzi s’indigna: «Quel poco di concorrenza che c’è in Europa lo dobbiamo tutto a Bruxelles!».
E dà due esempi.

Primo: «Chi ha eliminato la tassa di roaming sulle telefonate cellulari internazionali?».
Secondo: «Chi ha obbligato Microsoft a sbloccare i suoi codici consentendoci di ascoltare musica con programmi diversi da Windows Media Player?».
A parte che questi due esempi non riguardano le «regolamentazioni» che ha in mente Tremonti
(un esempio: l’obbligo di una impresa con tre operai fra cui una donna di avere una toilette per signore, e una per invalidi), anzi sono «de-regolamentazioni»; vi siete accorti, voi consumatori, di una riduzione dei costi cellulari dopo l’eliminazione della «tassa di roaming»?
Al contrario: tutto aumenta, rincara il costo della vita, la Telecom ci deruba più di prima.

Magari qualcuno ha effettivamente notato un vantaggio: qualcuno che telefona spesso all’estero col cellulare per grossi affari (le imprese risparmiose usano Skype, quasi gratis).
Diciamo qualcuno con un reddito superiore ai 300 mila euro l’anno, gente dello spettacolo, superbanchieri, che ne so.
E’ la dottrina Bush: benefici solo ai ricchi.
E ai pochi.
A spese dei molti, di tutti gli altri.
A questo serve il liberismo globale.

Impagabile l’altro esempio giavazzano: grazie a Bruxelles, possiamo «ascoltare musica con programmi diversi da Media Player».
Ma scusate, non ci avevate promesso che a forza di concorrenza globale, i consumatori avrebbero goduto di prodotti abbondanti e a prezzi bassi?
Ora che rincarano benzina e gasolio, il pane e la carne; ora che rincarano persino le carabattole cinesi (così Pechino esporta la sua inflazione), Giavazzi non trova altro esempio per raccomandarci il liberismo globale che la possibilità di ascoltare musica «con un programma diverso da Media Player».
Ne valeva la pena?

Ai pensionati a 500 euro mensili cui rincara il latte e la pasta, ai giovani precari, agli operai che hanno visto il loro lavoro emigrare in Cina, agli imprenditori truffati dalle banche che hanno rifilato loro derivati, a coloro che hanno preso il mutuo a tasso variabile ed ora rischiano di perdere la casa, Giavazzi replica: ne valeva la pena.
Voi precari e pensionati, voi disoccupati e pignorati, potere ascoltare musica con un programma diverso da Media Player.
Scegliete il software che volete: è la pacchia che vi regala la competizione globale.
La grande abbondanza del mercato-mondo.
Non hanno pane?
Mangino l’Ipod.
Uno potrebbe pensare che Giavazzi sia un immenso idiota.

Di più: che il Corriere abbia fatto una scelta decisiva per propagare l’idiozia attraverso le sue «Grandi Firme», visto che dà la prima pagina a personaggi vuoti anche se altezzosamente dottrinari come Sartori, o a propagandisti del Mossad come Magdi Allam.
Ma sarebbe una spiegazione semplicista.
Quello che Giavazzi, Magdi Allam e Sartori hanno in comune non è tanto la stupidità (che c’è) quanto la crudeltà.
La crudeltà dei dottrinari che impartiscono lezioni distruttive a cuor leggero, sapendo che loro saranno riparati dalle conseguenze.

Per Giavazzi è un vero godimento sadico consigliare ai pensionati minimi di usare «un programma diverso da Media Player», esattamente come per Allam è un piacere insegnarci che Israele (con 500 bombe atomiche) è minacciata dai reclusi di Gaza «nella sua stessa esistenza».
E’ il sadismo, il gusto di deridere chi sta male, cui conduce l’abitudine all’impunità.
Non c’è nessuna concorrenza cinese che metta in pericolo le numerose poltrone di Giavazzi nei consigli d’amministrazione, nessun giornalista più bravo sarà chiamato a sostituire Magdi Allam onde privarlo della paga da 40 mila euro mensili.

Non occupano i loro posti lucrosissimi e inamovibili perché hanno vinto una competizione sul «mercato»; sono lì perché hanno giurato fedeltà alla religione vigente, ai suoi dogmi e ai suoi luoghi comuni, al «politicamente corretto» del momento.
Non hanno bisogno di pensare: ricevono i pensieri dall’estero e dall’alto.
Godono dei privilegi delle classi dirigenti terminali: l’assoluta irresponsabilità.
La crudeltà ne è la conseguenza, l’indifferenza alle sofferenze del proprio popolo.
Sono così tutti quelli che in Italia vengono intervistati in ginocchio in qualità di «economisti»,
in quanto hanno ricevuto una cattedra universitaria grazie alla loro natura di pappagalli del dogma.
E questi, mentre i dogma collassa nella rovina planetaria, ancora ripetono le formulette apprese.
Prendiamo Giacomo Vaciago, «economista».

Al giornalista che gli domanda come mai la Banca Centrale europea non abbassi i tassi, provocando l’enorme rialzo dell’euro sul dollaro che strangola le nostre esportazioni e ci affonda nella recessione-depressione, Vaciago dice la vera ragione di questo mistero: «Bisogna dare una mano agli Stati Uniti».
Per questo non deprezziamo l’euro per riavvicinarlo al dollaro, per aiutare l’America.
Traduciamo: l’economista Vaciago accetta lietamente che l’Europa produca milioni di nuovi disoccupati, che blocchi la sua economia nel gelo recessivo, che sparga miseria suoi popoli europei, accentuando la miseria dei poveri, per aiutare il governo e le banche USA a ripudiare, pagandoli con dollari svalutati, i debiti enormi che hanno contratto facendo guerre dementi, togliendo le tasse ai ricchi, ed esponendosi in speculazioni folli e sterili, per giunta andate a male.
E come lo dice, Vaciago l’economista!
Lo dice come naturale che la Banca Centrale Europea pensi agli americani anziché agli europei.
Lo dice come se ci fosse un trattato, firmato e sottoscritto, che ci obbliga a non fare concorrenza agli Stati Uniti mentre ci sottraggono quote di mercato svalutando il dollaro.

Nemmeno una scintilla di pensiero fa rilucere nel cranio di Vaciago e di Giavazzi l’idea che questo non è «liberismo», non è «competizione», non è «mercato»; che questo è dirigismo molto più di quello minacciato da Tremonti, ma dirigismo a vantaggio della speculazione, anziché dei posti di lavoro e della società.
Macchè.
Ci dev’essere un trattato, come quello di Maastricht.
Noi non l’abbiamo mai visto, nessuno ce ne ha mai parlato.
Ma qualcuno deve averlo firmato per noi.
E a nostre spese.

13/08/08

Il sultano dell'Oman ringrazia Palermo per l'ospitalità

Un assegno da due milioni e mezzo di euro è stato consegnato dall'ambasciatore dell'Oman, su incarico del sultano Qaboos Bin Said, all'ospedale dei Bambini di Palermo. Altri due milioni sono stati donati all'associazione Telefono azzurro, e un milione al Conservatorio 'Vincenzo Bellini' del capoluogo siciliano.

Il sultano ha voluto così "sdebitarsi" con la città che lo ha ospitato per tre giorni. Due anni fa non fu meno generoso con Napoli, tanto da fare organizzare un ricevimento aperto a tutta la cittadinanza in villa comunale. I fondi donati dal sultano verranno utilizzati per "acquistare nuove strumentazioni per il nosocomio e attrezzi che servono", riferisce il manager dell'ospedale Civico di Palermo, Francesco Licata di Baucina, subito dopo la consegna dell'assegno in Prefettura.

11/08/08

Georgia, Israele ha perso di nuovo.

Un «mercenario americano» sarebbe stato catturato nell’Ossezia del Sud mentre combatteva per i georgiani in qualità di «istruttore». Lo riporta la radio locale Osetinskoe Radio, che precisa: l’uomo faceva parte di un gruppo di stranieri armati catturati vicino al villaggio di Zar, che si trova lungo quella che gli osseti russofoni considerano «la via della vita», perchè vi passano i rifornimenti dalla Russia. Il personaggio catturato sarebbe pure negro, e sarebbe stato portato a Vladikavkaz «per accertamenti sui motivi della sua permanenza in Ossezia».

La notizia non è controllata. Ma viene fra molte informazioni che confermano la presenza di combattenti stranieri. Secondo Eduard Kokoity, «presidente» della Sud-Ossezia citato dall’agenzia russa RIA, «dopo i combattimenti abbiamo trovato numerosi cadaveri di cittadini baltici ed ucraini; in seguito sono stato informato che corpi di diversi negri sono stati trovati sulla scena della battaglia presso la scuola numero 12»

In attesa di conferme, ce n’è già più d’una da parte giudeo-occidentale. Il giorno 8 agosto, quando i kartuli sono partiti all’attacco convinti di una rapida vittoria sugli osseti, il ministro georgiano Temur Yakobashvili, che è ebreo come indica il suo nome («figlio di Yakov»), e parla un ebraico fluente, esultava pubblicamente: «Gli israeliani devono essere fieri dell’addestramento che hanno dato ai soldati georgiani... Ora speriamo nell’assistenza della Casa Bianca, perchè la Georgia non può vincere da sola».

Ancor più chiaramente l’agenzia israeliana Debka (un noto centro di disinformazione del Mossad), lo stesso giorno, sicura della vittoria, annunciava: «Cingolati e fanteria georgiani, aiutati da istruttori militari israeliani, nella mattinata hanno conquistato la capitale della Sud-Ossezia secessionista, Tskhinvali». E, citando «le sue esclusive fonti militari» era in grado di spiegare quale sia «l’ìnteresse di Israele nel conflitto».

Eccolo:

«Gerusalemme possiede un forte interesse nella pipeline che porta gas e greggio del Caspio al porto turco di Ceyhan, senza bisogno di usare le reti di gasdotti russi. Sono in corso intensi negoziati tra Israele, Turchia, Georgia, Turkmenistan e Azerbaijian affinchè l’oleodotto raggiunga la Turchia e da lì il terminale petrolifero di Israele ad Ashkelon e di seguito il porto di Eilat sul Mar Rosso. Da lì, super-petroliere possono portare il gas e il greggio in estremo oriente attraverso l’oceano indiano».

Dunque la Vittima Eterna non vuole solo assicurarsi il petrolio per i suoi consumi interni, bensì partecipare al grande business, far dipendere l’Asia dalla sua buona volontà di fornitrice.

Debka continua: «L’anno scorso il presidente georgiano ha assunto da ditte israeliane di sicurezza (sic) alcune centinaia di istruttori militari, si stima oltre mille, per addestrare le forze georgiane in tattiche di commando, e di combattimento aereo, navale e corazzato. Hanno fornito addestramento in intelligence militare e sicurezza per il regime. Tbilisi ha anche comprato armamento e sistemi elettronici d’intelligence e di puntamento da Israele. Questi istruttori sono fortemente impegnati nella preparazione della armata georgiana alla conquista della capitale del Sud-Ossezia».

Non basta. Debka rivela che «nelle scorse settimane Mosca ha ripetutamente chiesto a Gerusalemme di smettere la sua assistenza militare alla Georgia, fino a minacciare una crisi della relazioni bilaterali. Israele ha risposto che l’assistenza fornita a Tbilisi era solo difensiva».

Se le cose stanno così, la conclusione è inevitabile: non è il dittatore di Kartulia, bensì Israele ad aver subìto una cocente sconfitta in Ossezia. Una replica del fallito attacco contro Hezbollah, e per gli stessi motivi: cieca presunzione della propria superiorità, credenza nella propria stessa propaganda (Hezbollah: belve arretrate, Russia: tigre di carta incapace di riempire il vuoto lasciato dall’URSS), e soprattutto, il risultato della «americanizzazione» dell’ex-glorioso Tsahal, da snella armata di aggressione-lampo a dinosauro dalla logistica pesante «made in Pentagon», con ricorso a «ditte» di mercenari (privatizzazione ed outsourcing della guerra: la bella trovata di Rumsfeld), e dalla tipica ottusità tattica made in USA: una vera tradizione questa, che risale alla guerra di Corea, continua ostinatamente e senza rimedio in Vietnam, e di cui si vedono gli ultimi effetti in Iraq e Afghanistan.

Ciò dovrebbe indurre a qualche riflessione gli europei, Berlusconi compreso: tutti accaniti a chiedere ragione a Putin della reazione «sproporzionata» in Ossezia, se non fossero i maggiordomi del Katz dovrebbero chiedere a «Gerusalemme» (ma la capitale non era Tel Aviv?) qualche ragione della sua presenza militarista in Georgia, apparentemente col coinvolgimento diretto di suoi mercenari (oltre a qualche povero negro americano) negli scontri. E’ legale? Che cosa dice in proposito il famoso diritto internazionale?

Invece avviene il contrario, naturalmente.

Battezzata «Operation Brimstone» (Operazione Zolfo), una delle più vaste esercitazioni aeronavali occidentali del dopoguerra è finita il 31 luglio nell’Atlantico. La grande manovra ha visto impegnati un «supergruppo di battaglia» portaerei USA, un gruppo di spedizione USA con portaerei, un gruppo di battaglia portaerei della Royal Navy britannica, un sottomarino nucleare da caccia francese, e un gran numero di incrociatori, fregate e cacciatorpediniere americani, nella parte delle «forze nemiche».

Lo scopo dichiarato di queste grandi manovre della più grande armata occidentale dai tempi della prima guerra all’Iraq è attuare il più severo blocco navale attorno all’Iran. Benchè produttore di petrolio, l’Iran ha limitate capacità di raffinazione; importa il 40% delle benzine e dei carburanti di cui ha bisogno. Bloccare l’arrivo delle benzine e dei carburanti è giudicato il solo modo di colpirne gravemente l’economia. L’Europa dunque partecipa a questo blocco, che è un atto di guerra secondo il diritto internazionale. Ancora una volta, è la scuola israeliana a dettare la legge di guerra: il trattamento-Gaza anche per gli iraniani, la «cura dimagrante».

Ma la quantità e il volume di fuoco della flotta messa in campo non può essere diretta solo all’Iran. E’ volto a dissuadere ben determinati Paesi - la Russia e la Cina, che è uno dei maggiori clienti del petrolio iraniano - ad opporsi al blocco, magari scortando con proprie navi militari le petroliere con i prodotti raffinati acquistati da Teheran.

Quanto alla Russia, si tratta di tenere sotto schiaffo, e dissuadere dall’intervenire, la flotta del Mar Nero recentemente spostata nel Mediterraneo, con base nel porto siriano di Tartus: guidata dalla portaerei moderna «Ammiraglio Kusnetsov» (che porta una cinquantina di caccia e una decina di elicotteri) e l’incrociatore lanciamissili «Moskva».

Nei giorni scorsi la Moskva, accompagnata dalla corvetta Smetlivy sono state spostate nell’area orientale del Mar Nero, davanti alla Georgia, con il dichiarato scopo di assistere gli osseti in fuga davanti all’invasione georgiana del loro territorio: almeno 30 mila persone su 70 mila, terrorizzati dalle atrocità di cui sono stati testimoni.

Nei loro racconti, parlano di bombe a mano tirate dai soldati georgiani nelle cantine dove gli abitanti si erano rifugiati dai bombardamenti, di soldati russi della forza d’interposizione feriti, catturati e giustiziati sommariamente, di un inizio di pulizia etnica (il presidente Medvedev ha parlato di genocidio). Le oltre duemila vittime civili paiono confermare: non si è cercato di fare un’operazione militarmente «pulita», bensì di spargere il terrore con massacri, per spingere alla fuga la popolazione.

Ancora una volta, è la scuola israeliana all’opera: il «trattamento Deir Yasin». E la Francia del Sarko-katz partecipa all’avventura con un sommergibile atomico. Visto che Berlusconi è spesso al telefono con Sarko, che è pure presidente semestrale della UE, non potrebbe chiedergli ragione di tanto impegno? E magari una telefonata di richiesta di chiarimenti «all’amico Bush» su quei negri ammazzati e catturati in territorio altrui? Invece no: chiede moderazione solo all’«amico Putin».

Le grandi manovre giudaiche («Brimstone» nell’Atlantico, e «Immediate Response» in Georgia, entrambe finite il 31 luglio, a ridosso dell’attacco di Kartulia agli osseti) fanno pensare che Saakashvili, dopotutto, non abbia agito di testa sua; l’attacco deliberato pare iscriversi in un più vasto piano concertato di provocazione ed affermazione di potenza, per il dominio totale delle fonti petrolifere. Una strategia alla Brzezinsky, sul «grande scacchiere» geopolitico, contro i nemici storici reali, Russia e Cina.

Se è così, mai nome fu più adatto ad una esercitazione: «Operazione Zolfo» ha l’intento di incendiare definitivamente l’area del petrolio del Golfo. In qualche modo, la strategia Us-raeliana sembra quella di reagire alle proprie sconfitte aumentando la posta.

Ci sono brandelli di informazioni, che non troverete sui nostri media alla Riotta, e che paiono confermare questa volontà di escalation.


• Il ministero degli Esteri ucraino ha dichiarato che l’Ucraina si riserva il diritto di impedire il ritorno della flotta russa del Mar Nero, ora impegnata al largo della Georgia, nei porti ucraini. In base ad un accordo firmato fra i due Paesi, la flotta bellica russa ha il diritto di usare i porti ucraini fino al 2017. Evidentemente la «democrazia» ucraina, che deve la sua esistenza a Washington non meno della «democrazia» in Kartulia, arde dalla voglia di impicciarsi nel conflitto, troppo «limitato» secondo i gusti del suo padrone a Washington. Bisogna ampliarlo, e l’Ucraina si presta.
Gli americani si apprestano a trasportare, con ponte aereo, metà del contingente di Kartulia che è impegnato in Iraq, e che ne fa il terzo dei contingenti alleati, dopo americani e britannici. Mille uomini subito «entro 96 ore», gli altri mille al più presto, ha detto il colonnello Bondo Maisuradze: «Gli USA ci forniranno il trasporto». Dunque il Pentagono, mentre chiede il cessate il fuoco a Putin, prepara il suo satellite georgiano ad un qualche contrattacco. E in ogni caso, il ponte aereo dell’USAF espone gli aerei americani al contatto con le armi russe: una provocazione aperta, magari alla ricerca di un «incidente».
• Nel lontano Kirghizistan, in una casa di Bishkeh (la capitale) affittata a cittadini americani con passaporto diplomatico, la polizia locale - allertata dai vicini - ha trovato un vero arsenale: 53 armi da fuoco anche «di grosso calibo» oltre a «lanciagranate, fucili mitragliatori, pistole, carabine da cecchino e 15 mila proiettili». I cittadini americani che sorvegliavano le armi sono «due dipendenti dell’Ambasciata USA e dieci militari americani nel Paese, dicono loro, per addestrare le forze speciali kirghize». Un dettaglio che il ministro degli Interni kirghizo, Temirkan Subanov, e il ministero della Difesa, negano con forza. C’è un accordo con gli USA, dicono, per addestrare gli agenti anti-droga (l’oppio afghano passa di lì), ma l’addestramento non richiede nè contempla armamento pesante. L’ambasciata USA ha emesso un comunicato in cui insiste: l’arsenale era lì con il permesso e su richiesta del governo kirghizo (6).


Insomma l’America sta rimestando attivamente nel torbido, incitando i suoi satelliti e provocando, in tutta la vasta area d’influenza russa. L’Europa - tramite le sue cosche non-elette - è della partita, all’insaputa dei suoi cittadini.

I nostri media non ci informano del fatto che siamo già schierati nella guerra di aggressione più inaudita della storia, a provocare il nostro massimo e più affidabile fornitore di prodotti energetici. Al contrario, titolano «Putin piega la Georgia» (Repubblica), «Mosca cieca» (Il Manifesto), ed evocando l’invasione sovietica a Praga nel 1968.

Si vede che siamo sotto protettorato di Katz, con direttori di TG del Katz, e giornali di sinistra molto del Katz.

07/08/08

La Destra lo rivendichi con orgoglio: fuori la Santanchè

Diciamocela tutta. Per La Destra, risultati elettorali alla mano, candidare la Santanchè è stato un flop. Doveva dare al partito un'immagine più limpida per pescare consensi fuori dal raggio d'azione militante, ma - in definitiva - non ha apportato nessuno contributo apprezzabile. Nella sua prima apparizione a Matrix ha impressionato per grinta e carattere, ma poi, quando si è visto che ripeteva le medesime parole ad ogni occasione, si è capito che la sua era solo una parte imparata a memoria e studiata molto bene. Del resto promuovere prodotti, essendo lei titolare di un'impresa operante nella pubblicità, è la sua arte. Persino i più distratti ricorderanno espressioni come "siamo la destra del fare", che la sua famiglia "non è quella del mulino bianco" e che, qualsiasi cosa pronunciasse, lei "lo rivendica[va] con orgoglio". Frasi, sempre le stesse e sempre nello stesso ordine, ripetute fino alla nausea da una donna che oltre l'immagine non ha nulla.

Il suo contributo si è esaurito nella candidatura della nuora di De Benetti (espressione di un potere forte economico-politico ed ebreo) la giornalista rai Paola Ferrari; nella dichiarazione di voto a favore "dell'amico" Briatore, che incarna tutto ciò che c'è di più lontano dall'idea di Destra; e nell'adesione temporanea dell'insipiente Carla De Albertis, una politicante brutta esteticamente quanto moralmente che è durata nel partito 2 mesi.

Ora, dopo aver condotto una campagna elettorale contro "le donne orizzontali di Berlusconi, la Cuneense va cianciando, a titolo personale, che bisogna confluire nel PdL in barba a quegli elettori che l'hanno votata non credendo nel partito unico

A tal proposito, Storace, nel suo blog, fa intendere che la Santanchè ha le ore contate e invita alla "calma olimpica sapendo che c’è una scadenza, quella del 31 agosto. Se l’obiettivo di Daniela Santanchè è andare a finire nel Pdl è legittimo. Se crede che questo sia anche l’obiettivo da assegnare a La Destra, siamo certi che in queste ore starà preparando la mozione congressuale che va depositata entro la fine del mese con dieci firme di membri del comitato politico nazionale. Siamo curiosi di leggere questo avvincente romanzo firmato da chi è uscita da An per poi puntare a ritrovarsi con quanti ha definito nel peggiore dei modi un giorno sì e l’altro pure".

Da questo affondo di Storace si coglie immediatamente che la rottura è insanabile e che le frizioni, almeno così si auspica, saranno risolte al congresso che si celebrerà in autunno, ma un limite in prospettiva comunque permane: sia gli uomini su cui si è investito che le linee politiche seguite si sono rivelati fallimentari.

Non è la prima volta che sorgono dissidi tra dirigenti. Merita di essere ricordato il caso emblematico di Luciano Buonocore, il garante per gli iscritti del partito, che, a pochi giorni dalle elezioni, invitò a votare per il PdL al Senato. Dunque il problema tra i quadri esiste. Sono stati imbarcati troppi vecchi tromboni trombati che hanno fatto il loro tempo e che non hanno nulla di nuovo da dire. Lo stesso Storace dovrebbe fare un passo indietro e dare spazio a Nello MUSUMECI, che è l'unico che può rilanciare il partito. Al Nord, invece, bisogna liquidare i vecchi arnesi alla Pagliarini in favore di BARBARA CIABò, un bell'avvocato che ha dimostrato di saper fare politica con passione e preparazione.

Sul piano più strettamente politico, se La Destra vuole porsi come alternativa al PdL deve invertire, con decisione, la sua rotta. Innanzitutto ponendo fine alle crociate antislamiche cavalcate dalla Santanchè. Sul piano geopolitico è tempo di tornare ad un sano antiamericanismo manifestando solidarietà alla PALESTINA e all'IRAN contro l'aggressione sionista; su quello economico contestare il liberal-capitalismo e la globalizzazione proponendo nuove politiche sociali e nazional-popolari; sul piano culturale respingere ogni spirito borghese per riaffermare il ritorno agli eterni valori di quel pensiero originario di cui una Destra d'opposizione e comunitaria deve farsi portatrice. Solo in tal modo La Destra potrà rilanciarsi e invogliare qualcuno a sostenerla non per amor di retorica. Buontempo e Storace, se non vogliono finire a dare le molliche di pane ai piccioni, devono rimettere le cose al proprio posto.

Devono, cioè, ridare la Destra a chi è di Destra e la Santanchè a Briatore.


Ovviamente rivendicandolo con orgoglio.

N.B. In foto BARBARA CIABò.

06/08/08

I valori dello sport.


Questa mattina, mentre 4 persone venivano arrestate per aver esposto uno striscione a favore del Tibet, la nuotatrice yankee Amanda FACCIA-DA-SCROFA Beard ha pensato bene di farsi fotografare tutta sorridente per pubblicizare "la sua campagna" contro le pellicce. Di fatto è la dimostrazione che le bestie valgono più degi uomini e il moralismo spiccio più della morale.

04/08/08

L’uomo che ha detto la verità

Benchè debba essere un giorno lieto quello in cui Aleksandr Solgenitsin è tornato a Dio, la sua morte mi lascia un vuoto personale nell’anima, come la morte di mio padre, o di mia madre. Per la nostra generazione, è l’uomo che ci ha insegnato a dire la verità. Una questione che divide gli uomini in due.

La verità che ci raccontò Solgenitsin era l’enorme mostro concentrazionario, inghiottitore di milioni di vittime, che ingrossava nella pancia del paradiso dei lavoratori sovietico. Una verità immane, spaventosa, che colava sangue e gridava vendetta, e che la mia generazione non vedeva. Faceva finta di non vedere. E non solo e tanto in Russia, dove il silenzio aveva una giustificazione nel terrore; era l’Occidente a tacere, era - per quanto mi riguarda - una intera generazione di giornalisti italiani, grandi firme comprese, grandi giornali compresi.

Così capii che anche i giornalisti si dividono in due: e di quelli che tacciono la verità evidente, capii che non si deve fare parte. Che ogni generazione ha l’obbligo di denunciare il suo mostro, quello con cui l’umanità, in quella generazione, convive in silenzio. Solgenitsin, dicevano in quella metà, non era un vero scrittore; era un pubblicista, un giornalista. Come se questo fosse un modo di sminuirlo. Come se nella nostra epoca di Gulag il primo obbligo, per chi sa scrivere, fosse quello di scrivere romanzi.

I romanzi di Solgenitsin sono effettivamente sbiaditi, in confronto alla sanguinosa potenza di Arcipelago Gulag. Era stato internato nell’orrore di cui si taceva; era stato uno di loro, uno zek; e senza carta nè penna, solo stampandosi nella memoria prodigiosa migliaia di vite, di volti, di nomi e storie di prigionieri e vittime, e dei loro persecutori, aveva scritto il reportage dell’indicibile. E non c’è stato libro, nel nostro ‘900, pari ad Arcipelago; un libro scritto con gli stracci e i pidocchi, la fame e il sangue e lo sterco dei prigionieri.

Si capì allora che l’Unione Sovietica, il grande esperimento del comunismo reale con le sue pretese realizzazioni e «conquiste», non era, e non era mai stato, altro che questo: un inghiottitotio di uomini, una immensa energia posta al servizio totale della burocrazia carceraria e della tortura.

Oggi i giovani possono non capirlo, ma era una cosa che negavano non solo i grandi giornalisti nè solo i politi comunisti occidentali, ma i grandi progressisti alla Giorgio Bocca, i grandi direttori avanzati, persino i Papi. Il mostro brulicante di zek morenti e congelati era lì, e nessuno se ne dava per inteso. Non faceva progressista, essere anti-comunista; non agevolava la carriera, ma questo non era il peggio. Il peggio era che denunciare il Gulag non faceva «tendenza».

Così ho imparato, grazie a quel mio e nostro padre russo, che accanto a noi vivono aguzzini potenziali, capaci di tutto. Non in Russia, ma a Milano e a Roma, gente che per non andare contro la «tendenza» di moda è capace di partecipare al massacrro silenzioso del secolo (qualunque sia), di aderirvi e - se la situazione del potere cambia qui da noi - di parteciparvi come poliziotti, delatori e secondini. So che esistono. Sono ancora tra noi.

Tutti, ancora, tacciono il mostro della nostra generazione, quello che ha cominciato ad artigliarci dall’11 settembre, e che oggi si chiama America.

Solgenitsin stava morendo di cancro nel Gulag; fu dimesso perchè andasse a morire a casa, e lo stesso giorno lo raggiunse la notizia della morte di Stalin. Il suo cancro sparì. Egli ha sempre creduto che Dio stesso gli avesse dato altri anni, con il compito di dire la verità fino in fondo. Perchè per dire la verità non si deve, anzitutto, aver paura di morire. Non di quello che possono farti gli uomini - che possono fare di tutto, e vivono accanto a te, nella tua stessa civiltà - perchè ogni ora, per chi dice la verità, è un’ora donata.

Oggi che il comunismo si è volatilizzato come un sogno/incubo, subito dimenticato dagli aguzzini e dai loro complici, sembra impossibile: ma ci volle il coraggio sovrumano di Solgenitsin e di una schiera in gran parte anonima di suoi amici, di persone sopravvissute, che gli hanno portato le loro storie, e le storie degli ingoiati e degli scomparsi, perchè le scrivesse, per fare crollare quella muraglia. E Solgenitsin, dicendo la verità, ha riabilitato i russi; ha riabilitato, lui patriota, la Russia.

Negli ultimi anni, nella tarda vecchiaia ancora prodigiosamente attiva, si è dedicato alla storia degli ebrei e alla loro parte nella costruzione del Gulag e, più in generale, del sistema di menzogna che è la modernità. Degli ebrei proprio come gruppo etnico, che in massa partecipò alla «rivoluzione» e alla sua chiusura concentrazionaria, e che oggi non si pente di nulla, non riconosce alcuna responsabilità, gettandola invece e sempre sugli altri.

Ecco un’altra cosa che non fa tendenza, che non si deve dire; che fa bollare come «antisemiti» esattamente come trent’anni fa faceva bollare da «anticomunisti» che non avevano capito «la direzione della storia». Nella sua vecchiaia, Solgenitsin ha violato questo tabù.

Il suo libro «Due Secoli Insieme» è ciò che Arcipelago Gulag fu per gli anni ‘70-‘80 del 900. Egli aveva capito che l’obbligo di non tacere la verità, oggi, per la nostra presente generazione, significa non tacere la parte che l’ebraismo ha nel mondo, e a cui conduce il mondo. Un’altra questione che divide l’umanità in due. L’umanità che tace l’evidenza per convenienza o per moda, che si fa complice del mostro attuale e presente fingendo di «vegliare» perchè non ritorni un nazismo, un mostro passato e defunto e che la nostra generazione non deve combattere, è anche oggi la maggior parte dell’umanità.

Ma il peso delle due umanità, ci ha insegnato Solgenitsin, non è uguale. Le poche decine che dicono la verità pesano più dei milioni che tacciono. Perciò, benchè siamo lieti che egli sia ormai al sicuro presso la Verità, la sua morte ha aperto un grando vuoto nelle nostre anime personali.

Solgenitsin lascia il vuoto di milioni di uomini; un vuoto che i miliardi di uomini che vivono nella menzogna non riempiranno mai.

L'esercito: un palliativo che penalizza il SUD anche sulla sicurezza.

Stavolta, ed è un evento veramente raro, ha pienamente ragione l'opposizione: l'invio dei militari sul territorio nazionale è solo uno spot per coprire i tagli alla sicurezza operati da un governo che, sul tema, ha vinto le elezioni. Inizialmente avevo accolto con favore la possibilità di far presidiare dall'esercito i territori più problematici, ma ora, dati alla mano, sono costretto a constatare che si tratta solo di una presa in giro ai danni del Sud.

A Roma sono state inviate 1.060 unità a presidio di uffici diplomatici e metro; a Milano 424; mentre in tutta la Sicilia - la seconda regione più popolosa in assoluto - solo 180. Napoli va anche peggio, con 150 militari per il pattugliamento del centro, del porto, della stazione e delle mete turistiche. In pratica i militari inviati all'ombra del Vesuvio svolgeranno quelle mansioni che sono proprie della inefficiente (e latitante!) polizia municipale quando dovrebbero essere utilizzati per riappropriarsi, mediante l'uso della forza, di quelle aree in cui la camorra è padrona e costruisce i suoi bunker.

Questa linea, tuttavia, non deve sorprendere. Il governo lombardo-romano non conosce i problemi del SUD nè avrà mai il coraggio per risolverli con risolutezza.

03/08/08

Perchè Achille Della Ragione deve stare (quantomeno!) in galera.

Un visitatore, che purtroppo non ha voluto firmarsi, ha lasciato questo splendido commento ad un vecchio post sul medico (si fa per dire...medicus cura te ipsum!) abortista Achille Della Ragione che merita di essere posto all'attenzione di tutti. Buona lettura.

Forse non tutti sanno che il ginecologo di Posillipo, appena la legge 194 fu approvata alla Camera per passare al Senato, si vantò il 28 aprile del 1978 di aver guadagnato mille milioni praticando aborti, di aver fatto 14.000 aborti in due anni, di fare 40/50 ed anche 60 aborti al giorno, di essere "il primatista degli aborti".La Stampa di Torino allora schiaffò la notizia in prima pagina ed ora sta muta. Perchè poi il giornalista, Francesco Santini, che aveva avuto l'incarico, come diceva lui, di fare un servizio sugli aborti al Sud (arretrato, ecc.) invece di intervistare una "mammana" dei Quartieri, della Sanità o dei Paesi Vesuviani, dove tuttora ci sono vie comunali sterrate, ecc. andò ad intervistare un medico che si trova in una delle zone più belle ed eleganti del mondo?
La Stampa non è degli Agnelli e gli Agnelli non sono amici di Rockefeller & C., delinquenti neomalthusiani: non finanziarono essi il Club di Roma di Aurelio Peccei, il creatore dei cavalli di Troia delle psicosi collettive per terrorizzare e decimare l'umanità? Non fu egli l'ideologo della creazione e gestione di crisi economiche mondiali al fine di creare una depressione cronica e giungere al controllo demografico, non essendo sufficiente la pianificazione familiare(contraccezione, sterilizzazione, aborto) , la distruzione della famiglia, la castrazione degli aspiranti riproduttori della specie umana mediante l'omosessualità e l'eliminazione dei pesi morti dei rifiuti umani con l'eutanasia?
Perché lon. handi- Cappato radicale vuol far morire di fame e di sete Eluana? Perché Pannella Giacinto putrefatto, detto Marco, nei bei tempi andati del Club dei criminali di Roma, propose il manager della FIAT, Peccei a Presidente del Consiglio dei Ministri? Perché la Bonino si vanta di aver cooperato con i neomalthusiani del Club di Roma ed in particolare con Peccei? Perché nel 78 il primatista degli abortisti si vantò di avere amicizie radicali e tra la magistratura? Perché l'aspirator veloce Achille si è servito di una ginecologa radicale commare di Pannella per mandare da Zapatero le napoletane oltre le 12 settimane? Quali rapporti esistono tra il Della Ragione, impazzita,(che è stato pure Candidato al Senato per il partito radicale alle politiche 2001)e i radicali, che prima mandavano da lui le donne oltre le nove settimane di gravidanza e poi organizzarono manifestazioni contro di lui, definito pescecane, la Stampa, il Club di Roma e gli Agnelli, amici dei Rockefeller?

E' lecito sì o no pensare ad una trappola ideata da Peccei, Bonino e della Ragione per indurre i recalcitranti senatori socialdemocratici a votare al legge 194, facendo credere loro che l'aborto praticato nelle strutture pubbliche avrebbe fatto scomparire l'aborto clandestino, così i pescecani non si sarebbero più ingrassati? Perché tutti i giornali, compresa mamma RAI, che all'epoca ci ossessionò dal mattino alla sera con le gesta del nostro ex barbuto eroe poco più che trentenne, che a lunghi passi si avviava verso il futuro percorrendo Napoli da via Manzoni a via Stadera a Poggioreale, hanno taciuto sui suoi trascorsi abortisti,non recenti,ma del '78?

Perché di Della Ragione e del fatto che la 194 non ha fatto scomparire l'aborto clandestino non ne vuole parlare nessuno: né i giornali dei padroni del vapore, la Stampa, il Corriere della Sera, la Repubblica, né i giornali dei lavoratori, il Manifesto, Liberazione, né i giornali di destra e nemmeno i giornali dei cattolici? Questi ultimi, lo sappiamo bene, sono terrorizzati e si fanno sotto, quando devono dire una parola contro Pannella e compagni neomalthusiani, la grande stampa non può parlare contro i loro padroni, ma la sinistra democratica, extraparlamentare e i no-global, perché si sono messi anche essi al servizio dei capitalisti pazzi ed annoiati che vogliono giungere ad un nuovo ordine mondiale e ad un governo mondiale con a capo un'oligarchia di banchieri ed un'elite di intellettuali alla Scalfari, secondo cui tra l'uomo e la mosca non cè nessuna differenza?

Queste domande sono rivolte a chi ancora pensa che la 194 sia una legge fatta per le donne e non invece la legge di Rockefeller, Sanger, Berelson,Crisholm,Mary Calderone,Peccei e dei loro scagnozzi radicali Pannella, Bonino, sCapezzone,per ridurre la popolazione. Questi tali farebbero meglio a farsi una gita in barca a vela insieme a Cecchi Gori, che ha fatto abortire la Marini con una considerazione tremenda: "come faremo ad andare sulla barca a vela?"

01/08/08

McDonald's, 4 punti chiudono per fallimento

McDonald´s a Napoli chiude quattro punti vendita per fallimento. Giù le saracinesche, tra lo sconcerto degli appassionati di hamburger e patatine fritte, ai ristoranti McDonald´s di via Guglielmo Sanfelice, piazza Dante, via Scarlatti al Vomero, e quello nella città degli Scavi e del Santuario. Oltre un centinaio di dipendenti sono rimasti senza lavoro. I quattro fastfood erano gestiti in franchising dalla Iff, Italian family food, srl licenziataria del marchio, intestata a Ylenia De Angelis, con sede in via Toledo 256. Sulle vetrine ora campeggia il cartello "chiuso per inventario".

In realtà la società è stata dichiarata fallita lo scorso 22 maggio dal tribunale fallimentare di Napoli, per mancati pagamenti di royalties. Il fallimento è l´epilogo di una lunga guerra giudiziaria dichiarata dal colosso degli hamburger alla licenziataria Iff. Una causa iniziata sette, otto anni addietro. Il marchio McDonalds´conta in Italia il 70 per cento di punti vendita in franchising, affidati a una fitta rete di «imprenditori locali che rappresentano uno dei pilastri del sistema», il resto è a gestione diretta, con un totale di 12 mila posti di lavoro. Perciò, in un asciutto comunicato, la McDonald´s sottolinea che «l´incresciosa situazione in cui si sono venuti a trovare i ristoranti di proprietà della Iff (licenziatario del marchio) è stata generata da gravi carenze gestionali di questa singola impresa, e non dall´andamento delle vendite, sempre positivo». Gestione sotto tiro, pare, per fatture arretrate, qualità scadente dei prodotti e del servizio. Da Milano si fa anche sapere che «ora la vicenda sta seguendo l´iter definito dal Tribunale e dagli organi giudiziari competenti». Una delegazione di McDonald´s Italia è sbarcata ieri a Napoli per un incontro con la Iff, ma non risulta che la vicenda possa ancora dirsi chiusa.

I De Angelis sono imprenditori napoletani da tempo impegnati nella ristorazione, vedi anche il ristorante Farinella di via Alabardieri attualmente gestito da Grazia De Angelis, sorella di Pasquale. Intestato ad altra azienda, ma sempre riconducibile alla famiglia, è McMusic, il locale del Centro direzionale, che fa capo a Masimiliano Del Giudice, marito di Ylenia. Dopo la chiusura, nemmeno uno dei crew, i dipendenti chiamati come i mozzi delle navi, che friggono patatine e cheeseburger 24 ore alla settimana, per circa 900 mila lire al mese, si è presentato al sindacato a chiedere tutela. L´azienda non ha aperto una procedura di mobilità. «Davvero singolare» osserva Giuseppe Metitiero, segretario generale della Filcams Cgil di Napoli, «ma c´è da dire che tra di loro gli iscritti al sindacato sono davvero pochi. In questa azienda c´è il turn over più alto d´Italia. Spesso i lavoratori sono studenti fuori sede che si fermano due o tre mesi e poi vanno via». Rapporti difficili col sindacato un po´ in tutti i ristoranti della catena. «Se rivendichi diritti sindacali alla McDonald´s, rischi il licenziamento» racconta un ex dipendente, Stefano Ghilleri, che ha raccontato il suo, qualche anno fa, in un documentario dal titolo "Ho licenziato mio padre".

McDonald´s potrebbe riaprire i fast food chiusi(speriamo di no!). Nel comunicato, dichiara infatti che «in maniera responsabile l´azienda sta collaborando» con l´autorità giudiziaria, «per identificare modalità operative che consentano di riavviare al più presto l´attività».