31/08/09

Chiuso per Vomito

Maurizio Blondet


Come temevo, ricevo una lettera così (e non è la sola).

«Caro Direttore,
capisco la sua riluttanza a parlare sulla vicenda Boffo ma lei non è stato molto tenero con il Salame. Mi aspettavo almeno di vedere pubblicato - come accade spesso in ultima colonna di questo giornale - almeno l’articolo del Giornale. Insomma, se alla direzione del più importante giornale della Chiesa (che oltretutto gode dei finanziamenti pubblici) ci deve stare un ‘noto omosessuale’ per di più ‘attenzionato’ dalle forze di polizia, sarà pure una notizia degna di nota? Se poi costui è anche reo confesso (vedi patteggiamento e sconto di pena) di un reato penale di molestia alle persone, sarà altrettanto degno di nota? Si sta parlando del direttore del giornale dei vescovi italiani, mica del giornalino parrocchiale!!! Prima che costui si dimetta dalla carica, dobbiamo forse aspettarci che venga arrestato dalle Guardie Svizzere in flagranza di atti omosessuali durante un gay party? Spero di no!!! Caro Direttore, se pensa che scrivere di Boffo sia come infierire, si tranquillizzi, via da quella poltrona Boffo può sempre chiedere ospitalità all’Unità di Concita o al giornale di Grillini.
Cordiali Saluti
Gianfranco»


Ed io non capisco il suo tono accusatorio, caro lettore. Visto che Berlusconi stesso ha preso le distanze dal vile attacco di Feltri, perchè vuole che attacchi proprio io? Sarei l’unico. Da destra a sinistra al centro, e specie al centro della Conferenza Episcopale Italiana, è tutto un esprimere solidarietà e confermare stima. E’ così: la pratica omosessuale, un tempo «peccato che grida vendetta al cospetto di Dio», è diventata una legittima preferenza, uno stile di vita; chi lo critica è «omofobo», esattamente come chi critica gli ebrei per i loro delitti in Israele è «antisemita». Le due lobbies sono potenti, è già duro sfidarne una.

Vuol sentirmi ripetere, come ho già atto tante volte ricavandone insulti, che l’omosessualità nella gerarchia e nei suoi dintorni è uno dei più gravi scandali della Chiesa, continuo fomite di storture e di doppiezze morali? Ma è la gerarchia stessa che mi smentisce: sapeva tutto sul caso giudiziario (ne parlò una pubblicazione radicale credo nel 2004), aveva dunque il tempo di prendere i necessari provvedimenti con l’opportuna discrezione. Evidentemente, ha valutato che i meriti dell’uomo lo rendono insostituibile. Lei è ingenuo e troppo ottimista, caro lettore, a ventilare dimissioni a seguito di arresti «in flagrantia» da parte delle Guardie Svizzere, proprio loro. Ma quali dimissioni?

L’attacco è «disgustoso», come ha detto il cardinal Bagnasco.

Pensi invece che da questo può venire un bene. La Chiesa italiana si è autonominata governo aggiunto del Paese. Non è il solo governo alternativo: abbiamo anche Bankitalia. Esattamente come Draghi a Bankitalia, il suddetto cardinale - ma la pratica è stata inaugurata da Ruini - tiene una «prolusione» mensile, dove, proprio come Draghi, esamina lo stato dell’Italia e dà consigli al governo su come governare. Tutti i giornalisti raccolgono con devozione le sue parole, come fanno con Draghi, e sottolineano i passi in cui appaiono critiche al governo vero, quello votato dagli italiani.

Naturalmente, questi due governi che nessuno ha votato, mentre criticano, non sopportano di essere criticati. E’ un a questione di potere,e la Chiesa italiana, come dimostrano i fatti, difende il suo potere con la stessa rocciosa intransigenza di Bankitalia. Ma almeno, dopo il fatto, non potrà più dire una parola sulle questioni morali, contro le nozze gay, contro la pillola del giorno dopo. Perchè tutte le «sinistre» che gli hanno espresso «solidarietà» in odio a Berlusconi, saranno allora pronte a ricordare al cardinal Bagnasco la stima e la fiducia confermata al personaggio.

Come cattolico, può spiacere. Ma evidentemente la gerarchia ha valutato, ed ha preferito scegliere: il potere, anzichè la verità. Ha preferito indebolire la sua posizione morale, anzichè sostiture un insostituibile direttore, che da parte sua non ha nemmeno fatto il gesto di offrire le dimissioni. Sarà almeno lecito dire che la Chiesa italiana soffre qui un suo, molto particolare, «conflitto d’interesse»?

Ma no. Tutto è normale. Bossi si recherà in Vaticano con Calderoli a spiegare le sue posizioni sugli immigrati, criticate dall’incriticabile CEI. Come vede, il potere dell’altro governo non-eletto viene riconosciuto e legittimato. Spero comprenda meglio la mia riluttanza.

Oltretutto, sono appena tornato da una vacanza alle Canarie (Lanzarote) e ho già voglia di tornarci. A parte la pulizia, l’educazione della gente, le buone infrastrutture pubbliche, la mancanza di graffiti sui bianchi muri di un’edilizia turistica modellata sull’architettura tradizionale popolare e senza abusivismo, tra i vari segni di civiltà ho trovato questo: i giornali radio spagnoli, in questi giorni, parlano della enorme disoccupazione dovuta alla crisi, e delle tasse che lo Stato dovrà aumentare, perchè la crisi economica ha ridotto gravemente gli introiti tributari.

Torno in Italia, e i giornali non parlano che dell’«attenzionato». Cioè di quello che, per corale, totalitaria dichiarazione generale, non è un problema. E allora, perchè dovrei parlarne io? Io che sono stato licenziato da quel non-problema, e potrei essere accusato di spirito di vendetta personale? Di disgustosa Schadenfreude?

Stia tranquillo anche lei, caro amico. Aspettiamo a piè fermo gli sviluppi degli eventi: con la ferma certezza che non mancheranno di regalarci altre gustose sconcezze e sapide, ulteriori prove della nostra boccaccesca inciviltà.

Noi qui vorremmo occuparci della crisi economica e dei suoi mandanti ancora impuniti; dei veri autori degli «attentati islamici» come l’11 settembre, o la strage di Lockerby; del genocidio e dei traffici d’organi che il Reich israeliano continua a perpetrare, nel silenzio dei media e della Chiesa.

Ma queste verità non interessano alla Chiesa, a Berlusconi, a Feltri. Non mi dica che non interessano nemmeno a lei. Altrimenti mi fa venire voglia di tornare a Lanzarote, come tanti pensionati tedeschi che hanno scelto quel posto civile come residenza della loro terza età, con mia grande invidia. E porre su questo sito il cartello «Chiuso per vomito».

Bassolino insulta Franceschini.

«Pur' 'e pulice tenono 'a tosse». La frase, lapidaria, compare sul blog di Antonio Bassolino. Traduzione letterale: «Anche le pulci hanno la tosse». Un richiamo che a Napoli si usa per le persone che parlano a sproposito e che in questo caso è da leggere come una replica al segretario del Partito democratico, Dario Franceschini, che si è dichiarato contrario a una possibile ricandidatura del governatore campano al Comune di Napoli.
«Pur' 'e pulice tenono 'a tosse». È la lapidaria espressione dialettale che compare oggi sul blog di Antonio Bassolino, sotto il titolo «Pulci e politica».

La traduzione letterale sarebbe «anche le pulci hanno la tosse», ma la frase - spiegano gli esperti di vernacolo - si usa per bollare coloro che «parlano a sproposito di cose che non conoscono».

Bassolino non fa nomi e non aggiunge altro, ma negli ambienti politici campani la frase è considerata una replica al segretario del Pd, Dario Franceschini, che ha criticato il presidente della Regione nella sua visita di due giorni fa a Napoli.

«Penso - aveva detto Franceschini, rispondendo a una domanda sull'ipotesi che Bassolino si ricandidi a sindaco di Napoli - che ogni stagione politica abbia un inizio ed una fine, e che il Pd di Napoli e della Campania abbiano diritto a guardare al futuro. Quindi penso che sia sbagliato pensare ad una candidatura a sindaco di Bassolino».

Parlando ai simpatizzanti della sua mozione, Franceschini aveva aggiunto: «Le stagioni ci sono anche in politica. La Campania ha avuto il suo inverno, e ora si merita la primavera».

Così, mentre i candidati alla segreteria sono impegnati nel tour elettorale che fino alle primarie di ottobre li porterà in giro per tutta Italia, sul terreno lasciano scontri e polemiche. Anche Franceschini torna, oggi, sul caso-Napoli. Risponde allo sfidante Pier Luigi Bersani, che ieri ha auspicato rinnovamento, ma ha detto di non potersi pronunciare con un sì o con un no sulla sorte del governatore. Anche la sua risposta, come quella a lui rivolta da Bassolino, non ha destinatario, ma il riferimento all'ex ministro è chiaro: va bandita «ogni ipocrisia», dice Franceschini. E aggiunge: «è ora di chiamare le cose con il loro nome e di dire dei sì e dei no: perchè la gente da noi vuole chiarezza e non mezze parole».

Tra i due candidati è scontro anche su un'altra questione 'locale', quella della candidatura alla segreteria regionale ligure, per la mozione Franceschini, di Sergio Cofferati. Bersani si è detto contrario al cumulo delle cariche, suscitando l'indignazione dell'eurodeputato. Ma oggi precisa di non aver voluto «fare nessuna polemica» e anzi ha detto di non gradire «l'aggressività» di Cofferati. A difesa dell'ex sindaco di Bologna, ma anche di Debora Serracchiani (anche lei candidata alla segreteria regionale ed eurodeputata) interviene allora Franceschini, che taglia corto: «Dobbiamo finirla con questa polemica strumentale».

Il segretario torna anche, in giornata, sulla questione della collocazione a sinistra del partito, sollevata dal suo sfidante e che tanto dibattito sta generando nel Pd. «Fare un grande partito significa accettare l'idea delle diversità, che ci sia sì la sinistra ma anche una parte più moderata». E in visita al cimitero di Ravenna, alle tombe di Arrigo Boldrini, «il mitico comandante Bulow della Resistenza» e dell'ex segretario della Dc Benigno Zaccagnini, sottolinea che sono i simboli di «due culture che sono già nello stesso partito, il Pd».

Ignazio Marino non fu un cervello in fuga. Ma il re della cresta sulle note spese,messo alla porta dagli americani-

Il sensazionale documento pubblicato oggi da Il Foglio di Giuliano Ferrara: la lettera del 2002 con cui il direttore del centro medico dell'Università di Pittsburgh allontanò Ignazio Marino dall'Ismett di Palermo perché faceva la cresta sulle note spese, condannandolo a restituire gli 8 mila dollari scoperti solo nell'ultimo anno e a rinunciare al tfr e all'ultimo mese di stipendio. Un documento che è la cartina al tornasole della storia di Italia. Marino fu incensato allora e rimpianto come un cervello in fuga costretto a questo da una politica miope. E' stato santificato, invece che essere processato come chiunque avesse fatto quel che si è scoperto su di lui. Carlo Marcelletti, che quei dubbi avanzò, perse tutto fino a morirne in mezzo ad accuse infamanti. Ecco il documento che oggi pubblica Il Foglio:

Gentile dottor Marino,
per varie ragioni Lei ha espresso il Suo desiderio di presentare le dimissioni dalla Sua posizione presso lo UPMC (University of Pittsburgh Medical Center) e da altre posizioni che derivano da tale rapporto. Secondo i termini e le condizioni indicate di seguito, l’UPCM accetterà le Sue dimissioni, con effetto da oggi.
Le Sue dimissioni riguardano tutte le posizioni presso UPMC Health System così come i privilegi dello staff medico presso gli ospedali UPMCHS e il Veterans Administration Hospital di Pittsburgh, Pennsylvania. Lascerà anche la Sua posizione in facoltà presso la Scuola di Medicina dell’Università di Pittsburgh e si dimetterà anche da direttore dell’Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione (ISMETT) e dal Centro Nazionale Trapianti italiano.
In conseguenza delle Sue dimissioni, a partire da oggi cesserà di ricevere qualsiasi compenso, prebenda e benefit. A questo proposito, accadrà quanto segue:

1. L’UPMC non provvederà oltre al pagamento del Suo alloggio, ma può restare nell’appartamento sino al 30 settembre 2002. Tuttavia, a partire da oggi, l’UPMC terminerà immediatamente il pagamento dei servizi di aiuto domestico, e Lei sarà responsabile per ogni servizio, la tv via cavo e le altre fatture legate all’appartamento.

2. Per venerdì 13 settembre 2002 provvederà a restituirci tutti i cellulari, i cercapersone, i computer portatili, i documenti identificativi, le chiavi ecc., sia italiani sia americani. La Sua auto e le chiavi della Sua auto dovranno essere consegnati a Giuseppe Alongi a Palermo.

3. Tutte le carte di credito così come le carte di acquisto dell’UPMC saranno immediatamente restituite a Giuseppe Alongi.

4. Qualsiasi altro pagamento da parte dell’UPMC o di qualsiasi sua società controllata verso di Lei o la Sua famiglia si interromperà oggi e Lei accetta di rimborsare l’UPMC Italia per qualsiasi pagamento anticipato.

In conformità con la policy dell’UPMC la Sua copertura assicurativa sanitaria e dentistica proseguirà fino al 30 settembre del 2002. Dopo tale data, e se non richiesto altrimenti, Le saranno forniti tutti i diritti offerti dalla normativa vigente in materia (COBRA, Consolidated Omnibus Budget Reconciliation Act).
Sempre in conformità con la policy dell’UPMC, provvederà a restituire immediatamente tutti gli archivi e i documenti, sia in forma elettronica sia cartacea, che Lei ha rimosso o dei quali ha causato la rimozione dall’ufficio di Palermo e non rimuoverà alcun archivio né da Palermo né da Pittsburgh senza l’autorizzazione dell’UPMC. Tutti i libri e i giornali acquistati dall’UPMC o dalla Scuola di Medicina dell’Università di Pittsburgh dovranno restare nell’ufficio di Palermo o in quello di Pittsburgh o, se dovesse scegliere di trattenerne qualcuno, li potrà acquistare a un prezzo ragionevole.

Per permettere una regolare transizione, i Suoi effetti personali potrebbero essere rimossi dal Suo ufficio entro venerdì 13 settembre 2002. Come richiesto dalla nostra policy, l’UPMC supervisionerà con discrezione la rimozione degli oggetti dal Suo ufficio. A partire da venerdì 13 settembre 2002, il Suo ufficio dovrà essere liberato, Lei non farà ritorno all’ufficio di Palermo, né a quello di Pittsburgh, o all’ospedale di Palermo a meno che non le sia richiesto da un rappresentante autorizzato dell’UPMC.

Come Lei sa, nell’iter ordinario necessario a elaborare le Sue recenti richieste di rimborsi spese, l’UPMC ha scoperto che Lei ha presentato la richiesta di rimborso di determinate spese sia all’UPMC di Pittsburgh sia alla sua filiale italiana. Di conseguenza è stata intrapresa una completa verifica sulle sue richieste di rimborso spese e sui nostri esborsi nei Suoi confronti. Tale verifica è attualmente in corso. Alla data di oggi, riteniamo di aver scoperto una serie di richieste di rimborso spese deliberatamente e intenzionalmente doppia all’UPMC e alla filiale italiana. Fra le altre irregolarità, abbiamo scoperto dozzine di originali duplicati di ricevute con note scritte da Lei a mano. Sebbene le ricevute siano per gli stessi enti, i nomi degli ospiti scritti a mano sulle ricevute presentate a Pittsburgh non sono gli stessi di quelli presentati all’UPMC Italia. Avendo sinora completato soltanto una revisione parziale dell’ultimo anno fiscale, l’UPMC ha scoperto circa 8 mila dollari in richieste doppie di rimborsi spese. Tutte le richieste di rimborso spese doppie, a parte le più recenti, sono state pagate sia dall’UPMC sia dalla filiale.

Come restituzione dei rimborsi spese doppi da Lei ricevuti (lei, ndt) accetta di rinunciare a qualsiasi pagamento erogato dall’UPMC o dall’UPMC Italia ai quali avrebbe altrimenti diritto, compresi (a titolo esemplificativo ma non esaustivo) lo stipendio per il mese di settembre 2002 e il pagamento per qualsiasi giorno di vacanza, permesso o malattia accumulato. Accetta inoltre di rinunciare a ogni diritto contrattuale per il trattamento di fine rapporto che potrebbe ottenere in seguito alle Sue dimissioni e solleva ulteriormente, congedandosi per sempre da esse, l’UPMC e tutte le sue filiali, compresi ma non soltanto la UPMC Italia e i suoi successori e aventi causa, da ogni e qualsiasi richiesta che possa avere ora o potrà avere in futuro, risultanti da eventi antecedenti a questa lettera. L’UPMC La solleva da ogni altra restituzione per i rimborsi spese doppi da Lei ricevuti.

Rispetterà i termini e l’impegno contenuto nel suo Accordo esecutivo di lavoro con l’UPMC del 1 gennaio 1997 come espresso nei paragrafi 3C, 3D e 4 del suddetto Accordo.
Si asterrà dall’esprimere qualsiasi commento sia in pubblico sia in privato che, intenzionalmente o no, possa essere considerato dispregiativo dell’UPMC e/o di ogni sua filiale, consociata, direttore, funzionario o impiegato o possa in qualsiasi modo compromettere le operazioni dell’UPMC o avere un impatto negativo sulla reputazione dell’UPMC in Italia o in qualsiasi altro luogo del mondo.

Salvo che l’UPMC non sia tenuta a rivelare le circostanze del Suo allontanamento a dirigenti selezionati e membri del Consiglio di amministrazione dell’UPMC e funzionari in Italia coinvolti con l’ISMETT a causa di obblighi fiduciari di UPMC nei loro confronti, l’UPMC manterrà confidenziali i termini delle Sue dimissioni e delle circostanze che le hanno affrettate. L’UPMC l’avviserà di tale rivelazione e avviserà coloro ai quali verrà fatta tale rivelazione che le circostanze riguardo le Sue dimissioni sono confidenziali. Su richiesta proveniente da qualsiasi potenziale datore di lavoro o partner commerciale, l’UPMC Le fornirà referenze neutrali, ovvero saranno fornite soltanto le date del rapporto di lavoro e la posizione da Lei occupata. Nell’eventualità in cui l’UPMC determinasse che Lei non ha rispettato una qualsiasi delle condizioni di dimissioni elencate nei paragrafi precedenti di questa lettera, l’UPCM non sarà vincolata a nessuna delle promesse illustrate in questo paragrafo in materia di riservatezza e referenze. Fermo restando tuttavia che l’UPMC, prima di contravvenire a tali promesse, Le farà pervenire con anticipo ragionevole una comunicazione dettagliata e le darà una ragionevole opportunità di rispondere e/o rimediare.
La sua firma sulla linea sottostante indicherà l’accettazione di questi termini e la Sua intenzione di essere legalmente vincolato a essi.
Cordialmente,

Jeffrey A. Romoff

La storia opaca dell’allontanamento di Ignazio Marino, atto II

“Una serie di irregolarità intenzionali e deliberate”. E’ questa la principale accusa contenuta nella lettera inviata dall’University of Pittsburgh Medical Center (UMPC) al medico e senatore Ignazio Marino il 6 settembre 2002 e pubblicata ieri dal Foglio. Il testo, sottoscritto e siglato in tutte le sue pagine dal chirurgo, contiene i termini delle circostanze che hanno “affrettato” le dimissioni di Marino dall’università americana. Marino – candidato alla segreteria del Pd – era direttore e co-fondatore dell’Ismett, il centro di trapianti di fama internazionale nato a Palermo in collaborazione con l’Università di Pittsburgh, dove Marino si era distinto per una brillante carriera nell’ambito della trapiantologia.

Nella lettera, il direttore dell’UPMC, Jeffrey A. Romoff, spiega che il motivo per la fine del rapporto di lavoro sono le gravi irregolarità amministrative commesse da Marino, nello specifico le “dozens of duplicate originals of receipts”, espressione che in in italiano si traduce così: note spese truccate. La missiva, firmata da Marino, stabilisce la restituzione del denaro da parte del medico e impone una serie di dure condizioni per la risoluzione del rapporto. A Marino viene concessa una settimana per liberare l’ufficio di Palermo e gli è intimato di non fare ritorno nemmeno nell’ufficio di Pittsburgh. Nella lettera si legge che fra le altre irregolarità ci sono “duplicati di ricevute con note scritte da Lei a mano” e “sebbene le ricevute siano per gli stessi enti, i nomi degli ospiti scritti a mano sulle ricevute presentate a Pittsburgh non sono gli stessi di quelli presentati all’UPMC Italia”.

Infine, l’UPMC assicura a Marino che “manterrà confidenziali i termini delle Sue dimissioni e delle circostanze che le hanno affrettate” e promette che “fornirà referenze neutrali, ovvero saranno fornite soltanto le date del rapporto di lavoro e la posizione da lei occupata”. Per buona parte della giornata di ieri il contenuto della lettera è stato ignorato dalle agenzie e dai giornali on line. Il primo a reagire, poco depo le 13, è stato Mario Adinolfi, membro della direzione nazionale del Pd e sostenitore di Dario Franceschini alla segreteria. Anche un altro candidato alla segreteria, Pier Luigi Bersani, ha mostrato solidarietà per Marino: Nel tardo pomeriggio Ignazio Marino ha parlato con il Foglio, spiegando la sua linea difensiva. A oggi, anche a seguito della conversazione con Marino, le lettere più importanti di cui il Foglio è in possesso sono due. La prima contiene i “termini della separazione” ed è stata inviata a Ignazio Marino alle 15.21 del 6 settembre del 2002 dall’università di Pittsburgh. Marino la riceverà su un fax palermitano e, dopo averla letta, a mezzanotte e sedici minuti la rinvierà ancora a Pittsburgh.

La lettera si conclude così: “La sua firma sulla linea sottostante indicherà l’accettazione di questi termini e la sua intenzione di essere legalmente vincolato a essi”. Alla fine della lettera, subito dopo la firma del boss dell’UPMC Jeffrey A. Romoff, non solo c’è la firma di Marino ma per presa visione c’è anche quella di Claudia Cirillo, oggi segreteria particolare del senatore. La lettera, poi, presenta non una ma quattro firme di Marino. Oltre a quella in calce alla missiva, alla fine di ogni pagina c’è la sigla del senatore: IRM, che sta per Ignazio Roberto Marino. Il senatore definisce quella lettera “una bozza” e sostiene che “senza una copia cartacea mandata su carta pesante, quella gialla, la bozza non ha valore”. “Quella lettera, con l’inchiostro, non è mai stata firmata”. Marino dice di aver firmato “l’accettazione della ricevuta via fax” e che poi ha fatto rinegoziare i termini ai propri avvocati. Per dimostrare la rinegoziazione dei fatti, Marino ci consegna una lettera datata 6 settembre 2002, il cui orario è di poco successivo alla prima: 18.56. Questo documento, secondo Marino, dimostra che i termini della rinegoziazione sarebbero stati discussi successivamente alla lettera pubblicata ieri dal Foglio ed è un così detto “regolamento d’esecuzione”, in cui si definiscono i tempi, i modi e le condizioni della “transizione”.

A Marino vengono restituiti documenti personali, annotazioni di letteratura scientifica, corrispondenza personale di vecchi pazienti e il diritto di ritenere, senza costi aggiuntivi, il laptop. “Nonostante l’Accordo stabilisca il contrario – si legge nella lettera — il Dr Marino non dovrà lasciare il suo appartamento il 30 settembre 2002”. La lettera è stata inviata dallo studio legale che ha curato la rinegoziazione, “Rotham Gordon”, al legale dell’Upmc (Gorge A. Huber) e a quello di Marino (Cristine L. Donhue) e porta la firma dell’avvocato del senatore, e secondo Marino è questo “l’ultimo documento combinato che ha le firme di entrambe le parti”. Quanto alla vicenda dei doppi rimborsi Marino non smentisce quanto accaduto. “In quel momento di tensione che si è creato, una revisione della contabilità ha dimostrato che c’erano discrepanze per 8 mila dollari. Effettivamente non posso dire che non ci siano state queste discrepanze, sarebbe scorretto non dirlo”. “Quello che il Foglio non dice – sostiene Marino – è che fui io stesso ad accorgermi di alcune imprecisioni e a comunicarle all’amministrazione”. Nella lettera inviata il 6 settembre dall’Upmc c’è però un passaggio chiaro in cui non si fa riferimento ad alcuna comunicazione precedente di Marino e dove l’Upmc dice che il senatore sarebbe stato “scoperto”.

Marino sostiene poi che l’opaca durezza di questa lettera sia dovuta a un fatto particolare. Nel giugno 2002, il chirurgo aveva ricevuto un’offerta di lavoro da un altro importante istituto americano (il centro trapianti dell’università di Philadelphia) e nella prima settimana di settembre a quella proposta il futuro senatore dirà di sì. Secondo Marino, quando Jeffrey A. Romoff parla di “altre irregolarità” scoperte dall’Upmc si riferisce solo a questa vicenda. “Sapevano – spiega Marino – che avevo accettato il contratto economico”. Durante il colloquio, le ragioni della durezza della lettera vengono infine spiegate da uno dei firmatari della mozione con cui il senatore si presenterà a ottobre a guidare il Pd: Ivan Scalfarotto: “Se un dipendente ha fatto qualcosa di sbagliato e tu non vuoi metterti a licenziarlo per giusta causa gli fai pressione psicologica e gli dici ‘guarda tu stai facendo questo imbroglio è meglio che te ne vai’”.

Nel corso della giornata di ieri, infine, il Foglio si è messo in contatto con alcuni dei protagonisti. A Pittsburgh, abbiamo chiesto di replicare a Paul Wood, vicepresidente dell’Upmc e responsabile delle pubbliche realzioni. Wood ha risposto ma non ha chiarito la vicenda. “Thank you for your inquiry. At his point in time, we have no comment”. A quanto pare, la sede dell’UPMC di Pittsburgh ha avvisato dell’inchiesta del Foglio anche la sede distaccata italiana. Alle 16.45, il responsabile dell’International Marketing Communications risponderà alla nostra richiesta di chiarimenti con queste parole: “Lei dovrebbe aver ricevuto questa mattina una mail da parte di Paul Wood, capo ufficio stampa di UPMC. Cordiali saluti”. Alla fine della giornata, resta una zona opaca sulle ragioni dell’allontanamento di Marino dall’università di Pittsburgh. E sulle note spese contestate una smentita delle irregolarità “intenzionali e deliberate” (cui Romoff fa riferimento nelle lettera sottoscritta da Marino) non c’è.

28/08/09

Per la Lega torturare gli immigrati è "legittima difesa"


Questo è il simpatico gruppo registrato su facebook con 400 simpatizzanti leghisti. Ora il partito proverà formalmente a prendere le distanze, ma sarà poca cosa. L'agire quotidiano della Lega ha, di fatto, dato piena legittimazione a questo balordi che diffondono solo una cultura razzista e ignorante. Basta ascoltare un comizio o una dichiarazione dei vari Bossi, Maroni, Calderoli e compagnia cantante per rendersene conto. Per questo, ogni volta che vi sentirete chiamare "terroni" o sarete ghettizzati - sul lavoro o in vacanza - da qualcuno per la vostra etnia ricordatevi chi gli ha dato il potere di farlo impunemente.

Il senso dei tempi. La famiglia perduta e la frittata gay.

Non riesco a provare antipatia per Max, Cicci e Andrè che pure occupano con i loro corpi, i loro birignao gay e i loro sgargianti asciugamani il mio scoglio di Talamone. Non riesco a capire come si possa aggredire una persona perché è omosessuale. Mi pare rozzo e pure stupido, quasi quanto chi propone leggi ad hoc per salvaguardare i gay come se fossero una specie protetta o una fragile cristalleria da tutelare come bene pubblico e cagionevole. In un paese civile dovrebbero bastare le leggi che valgono per tutti. Ma l'occasione delle recenti aggressioni ai gay è stata ghiotta per riprendere la celebrazione pubblica dell'omosessualità e la condanna di chi non si compiace per la pervasiva presenza di un immaginario gay che colonizza ormai la società.

Non voglio far prediche, preferisco partire dalla realtà, parlando di persone vere. I tre gay che ho citato non sono figure retoriche, ma reali. Ho disordinato i loro nomignoli ma sono davvero là, su quello scoglio in vacanza da Roma: lei, Max, è la femminona del trio, un incrocio tra un lottatore di sumo e una massaia obesa, liscia e abbronzata nelle sue rotondità lucenti, con una raggiera di capelli biondi arruffati ed una risata fragorosa, in falsetto. Poi c'è, non so come definirlo, il capo famiglia, con i capelli biondi legati a ciuppillo, come si diceva da noi delle casalinghe con la cipolla in testa, che governa il gruppo e sforna ogni mattina gustose frittate, con variazioni quotidiane e annuncio pubblico (oggi è di patate). Infine c'è il ragazzo, il pupo, il belloccio, più taciturno, magro e con capelli corti ma biondo-accecanti per denotare l'affiliazione al gruppo. Viaggiano in Mini Minor e scendono tardi al mare, la gente lascia loro la punta prelibata dello scoglio per una sorta di cavalleria o di usucapione.

Mi colpisce la loro voglia di amicizia, le loro carinerie per acquisire simpatia e farsi accettare, la premura con cui salutano tutti e a tutti offrono frittata mista, che è un po' il simbolo della loro vita. Su di me, per esempio, appena mi hanno conosciuto, si sono documentati e il giorno dopo che li ho conosciuti sono venuti preparati, avevano visto su internet vita e opere. Anche per rimediare all'amabile gaffe del primo giorno quando uno di loro, riconoscendomi come giornalista e scrittore, mi ha chiesto se fossi criminologo. Ho risposto che criminale forse sì, ma criminologo lo dica a sua sorella. Non ho ben capito i loro rispettivi ruoli nella vita intima e sessuale, ma non mi interessa saperlo. Mi colpisce di loro questa gioconda maturità, che mette allegria e tristezza. Il gay, e il trans in particolare, nell'ansia di travestirsi e di vivere la propria diversità, resta legato ad una specie di avvizzita infanzia e di sgualcita teatralità, che lo spinge a giocare per darsi un ruolo e a travestirsi per sancire l'asimmetria rispetto all'anagrafe e all'anatomia. Non ho difficoltà a riconoscere nella loro vita un disordine di fondo, come dicono i teologi, anche se mi riesce difficile trovare in giro vite ordinate.

La loro sembra un'identità gioiosa quanto sofferta, preadolescenziale ma quasi costretta all'immaturità, la pubertà come un ergastolo e una maschera permanente. Poi vedo in giro tra coppie scoppiate, famiglie senza figli, e avverto tanta insofferenza, me compreso, verso i rari bambini al loro primo frignare, in spiaggia, in aereo, al ristorante o in albergo. Capisco che un'epoca nata narcisista finisce omosessuale, ama nel suo sesso solo se stessa, la propria individualità accresciuta, non è capace di proiettarsi nella vera diversità, che è etero, e poi nella famiglia, nella procreazione. Ognuno si vive addosso, vive allo specchio e l'omosessualità fotografa e realizza la condizione presente. Se ci fosse uno Schopenhauer del Duemila direbbe che l'astuzia della specie ha deciso di portarci alla morte demografica anche in questo modo, alimentando pulsioni omosessuali.

Di tutto questo non voglio far scontare nulla a Max, Cicci e Andrè, a cui mando virtuali orchidee in cambio di frittata. So distinguere l'errore dagli erranti e sono convinto che una sessualità non disposta a procreare sia una distorsione del disegno naturale - e per chi crede, soprannaturale - di perpetuare la vita e fondare le famiglie. Non un peccato e tantomeno una ragione di disprezzo o di odio, ma un errore. Spesso mi trovo a dover considerare la loro umanità, e i loro gusti, la loro sensibilità, la loro affabilità e cortesia, mediamente più viva di quella dei cosiddetti etero. Mi piacerebbe solo che non si confondesse un'inclinazione privata con un modello pubblico.

L'omosessualità è un diritto, la sfilata gay è invece un esibizionismo che mortifica la loro dignità e la rende caricaturale. Vorrei che i bambini e gli adolescenti fossero educati al piacere e al dovere di formare una famiglia e non al primato assoluto dei desideri soggettivi; senza penalizzare chi per inclinazione naturale o per scelta poi si sottrae. Vorrei che non si ponesse sullo stesso piano una famiglia con padre madre e figli ad un triangolo omosessuale. Vorrei che si tutelasse pubblicamente la famiglia, come un bene pubblico, sociale e civile, naturale e culturale; lasciando le altre unioni, occasionali o omosessuali, alla libera sfera del diritto privato. Mi piacerebbe vivere in una società che coltivasse valori pubblici e poi lasciasse a ciascuno nella propria vita la facoltà di assumersi le responsabilità di una scelta diversa, sulla sessualità e la famiglia, la bioetica e l'eutanasia. Ognuno viva come ritiene di farlo, a patto di non danneggiare il prossimo. Ma una comunità che voglia dirsi civiltà abbia pure il coraggio di indicare i valori comuni e non considerarli occasionali, neutri e soggettivi. Una comunità libera e civile non impone valori ma non si sottrae a educare e orientare.

Per il resto dico a Max, Cicci e Andrè: dividiamoci lo scoglio e la frittata. E chi arriva prima si prende il posto migliore, senza priority omo o etero.

Marcello Veneziani

26/08/09

Immigrazione, speriamo che la Chiesa resista!

Gli insulti di Bossi alla Chiesa dimostrano che quest'ultima è l'unica forza capace di frenare la deriva razzista che si sta diffondendo nel nostro paese. Ormai ci si riferisce agli immigrati come a dei pacchi che vengono spediti da noi per dispetto, come se emigrare fosse piacevole. "Gli atei devoti bushisti" stanno con la Chiesa solo quando questa sostiene posizioni per loro convenienti, ignorando che la Chiesa è sempre a difesa della sacralità della vita e della centralità dell'individuo: per l'aborto, l'eutanasia, i Pacs o, appunto, l'immigrazione. Tutto è connesso e non si può accettare la divisione idiota tra una Chiesa di Destra e una Chiesa di Sinistra: la Chiesa è una e segue la sua linea. Per questo motivo, spero, da cattolico, che il Vaticano non si faccia intimidire dalle solite volgari minacce leghiste e continui a contrastare la rozzezza e l'inciviltà a cui ci ha portato l'osannata democrazia.

23/08/09

Oggi seguire il Vangelo è (ancora più) controcorrente.

Povero Papa Benedetto, nemmeno dopo la frattura del suo polso i servi del politicamente corretto gli hanno risparmiato le loro sciocche battute offensive e, spesso, volgari. Incosciamente riconoscono nel Santo Padre, e in tutto ciò che rappresenta, l'offerta dell'unica via alternativa a tutto ciò che seguono: il piacere per il piacere. In una società edonista che venera falsi miti, che si prostra davanti ad un pedofilo quale fu Michael Jackson e che ha perso ogni senso di appartenenza ad una comunità - culturale, nazionale o spirituale - l'unica novità genuina rimane il messaggio di Verità rappresentataci dal Vangeli. Oggi vivere pericolosamente significa ricercare il senso profondo dell'esistenza e la purezza mantenendo uno stile di vita non conforme. La fratellanza, la meditazione, la comunione sono le linee guida che basta seguire ai moderni ribelli per ricostruire una nuova società che sappia sottrarsi ad un relatismo che ci porterà sempre di più alla decadenza.

16/08/09

Iervolino: "il mare di Napoli è splendido".

Per il sindaco Iervolino "il mare di Napoli è splendido". Vero. Se non è balneabile, è solo perchè è il sindaco ad essere un cesso.

14/08/09

Perchè Bassolino è più forte che mai.

Non potendosi fare eleggere direttamente al parlamento europeo per il veto alla sua candidatura della dirigenza del PD, Il Cacaglio ha deciso di farlo per interposta persona attraverso il suo alter ego Andrea Cozzolino. Si è trattata di una prova di forza che ha consentito al tiranno di Afragola di riprendersi, in un colpo solo, il partito in Campania. Se pochi mesi fa le primarie per la segreteria del PD napoletano avevano determinato la vittoria del fronte a favore di Nicolais facendo apparire vicina la deposizione del tiranno, i risultati elettorali hanno sovvertito tutto: Cozzolino ha fatto il pieno di voti ed è andato a Strasburgo, mentre Nicolais - candidato presidente alla provincia di Napoli - è stato umiliato e costretto all'ennesima figuraccia dopo le registrazione segreta che fece di una conversazione con la sindacessa Iervolino.

Subito dopo, Bassolino ha cambiato altri 2 assessori: Cozzolino - ex alle attività produttive - per incompatibilità con la carica di parlamentare, e Velardi, dimessionario dall'assessorato al turismo. Abbiamo perso il conto del numero di assessori che il tiranno di Afragola ha cambiato da quando ha preso il potere. Negli ultimi 4 anni i rimpasti sono stati innumerevoli. Anche per l'opposizione, che, non esistendo, non sa quanti ce ne siano stati.

Intanto, il dittatore nullatenente è stato nuovamente rinviato a giudizio con l'imputazione di irregolarità nelle consulenze fornite dal commissariato straordinario ai rifiuti che, sotto il suo dominio, costò 100 volte in più rispetto agli anni precedenti.

Per questo motivo, probabilmente, il governo Berlusconi ha deciso di nominare Bassolino commissario straordinario di una sanità che ha reso pari a quella che si vede a Kabul o a Baghdad. E' sintomatico che il responsabile del commissariamento della sanità per lo sperpero di una montagna di soldi sia poi nominato commissario, cioè uomo con la mission di risanare i debiti.

Intanto, ultima chicca da segnalare, al congresso dei giovani del PD a Salerno, i sostenitori del tiranno - rectius i suoi scagnozzi - hanno pestato i seguaci del sindaco Vincenzo De Luca. Evidentemente hanno appreso appieno il modo di far politica del loro guru.

13/08/09

Gelminate/Università3

Tra i criteri per erogare i finanziamenti alle Università c'è la percentuale degli studenti promossi e la media che ottengono: più le università hanno promosso e regalato voti alti e più riceveranno soldi.

Ecco spiegato perchè "i laurefici" otterranno fior di quattrini, mentre le - poche! - Università serie saranno costrette ad aumentare le tasse per i propri studenti.

La meritocrazia al governo?

11/08/09

Sì alle gabbie salariali: al Sud le retribuzioni vanno aumentate.

Come dimostra un recente studio di Bankitalia, al Sud sono piu' alti i tassi di mutui e prestiti. Si aggiunga poi il costo delle assicurazioni, la benzina più cara, il bollo auto più caro, le aliquote Irpef e l'Irap più alte, gli immobili più cari al tasso di disoccupazione elevato, al costo maggiore dei servizi pubblici e l'inefficienza dello stato sociali che costringe i malati ad emigrare in strutture più attrezzate, risulta giusta e, anzi, doverosa l'attuazione di gabbie salariali in favore del popolo meridionale. Ben venga, quindi, la proposta di Calderoli: LE RETRIBUZIONI AL SUD VANNO AUMENTATE PER COMPENSARE LE SPESE AGGIUNTIVE CHE OGNI MERIDIONALE DEVE SUPPORTARE PER VIA DELLA POLITICA COLONIALE DEI GOVERNI ROMANOPADANI!Dovrebbero, anzi, essere equiparate anche le aliquote di Irap e Irpef: non è tollerabile che un meridionale paghi più tasse!

(Ansa) Secondo quanto si ricava dagli studi di Banca d'Italia sulle economie regionali, riferiti al primo trimestre 2009, la crescita dei prestiti a famiglie e imprese al Mezzogiorno, seppure in rallentamento, rimane su valori piu' alti del resto del paese. Al top la Puglia (Taeg del 4,96%), in Piemonte il valore piu' basso (3,9%)

Un mutuo per la casa o un finanziamento all'impresa continua a restare piu' caro al Sud, con tassi superiori a quelli concessi al -Centro-Nord. Secondo quanto si ricava dagli studi di Banca d'Italia sulle economie regionali, riferiti al primo trimestre 2009 e corretti per gli effetti delle cartolarizzazioni inoltre, la crescita dei prestiti a famiglie e imprese al Mezzogiorno, seppure in rallentamento, rimane su valori piu' alti del resto del paese. Il tasso annuo effettivo globale sui nuovi prestiti a medio e lungo periodo (Taeg), tuttavia, presenta valori piu' elevati con una punta massima del 4,96% in Puglia (il valore piu' alto a livello nazionale) contro il minimo del 3,9% raggiunto in Piemonte.

10/08/09

La Lega dalla parte dei ladri.

Extracomunitario fa arrestare ladri, denunciato in quanto clandestino
L'uomo del Bangladesh multato per 5-10 mila euro e l'ordine di lasciare l'Italia
entro cinque giorni

TORINO - D'ora in poi nessun extracomunitario non in regola con la nuova legge che ha introdotto il reato di clandestinità, denuncerà mai più un reato, neanche se avviene sotto il suoi occhi. A Torino un cittadino del Bangladesh ha denunciato e fatto arrestare tre romeni che gli avevano rubato il portafogli dopo averlo assalito di notte con una bottiglia di vetro rotta puntata alla gola. Andato in questura per la denuncia, è stato trovato privo di permesso di soggiorno. Quindi è stato a sua volta denunciato per il nuovo reato di clandestinità: dovrà pagare una multa compresa tra 5 mila e 10 mila euro con l'ordine del questore di lasciare l'Italia entro cinque giorni.

Questi sono i frutti del becero leghismo!

L'invettiva: "Io, bersaglio fisso dell'odiatore da tavolino"

di Pietrangelo Buttafuoco

Caro Giornale, chiedo ospitalità perché ci sono attorno a noi, in questa Italia con il sangue agli occhi, molti marciatori senza marcia, gente come lo storico manganellatore Sergio Luzzatto - e tra poco te ne chiarirò i motivi - cui sarebbe piaciuto partecipare alla presa della Bastiglia, del palazzo d’Inverno e perfino alla Marcia su Roma. Anche se, naturalmente, al momento di una vera marcia, Luzzatto indosserebbe gli scarponi da soldato solo in metafora, stando magari nascosto in un convento, a coltivare l’odio come ebbrezza del cuore. Vengo al dunque: a suo tempo, il Governo Prodi, nella persona di Francesco Rutelli, ministro per i Beni Culturali, mi nominò nel comitato dei garanti per le celebrazioni del 150° dell’Unità d’Italia. Ne fui onorato soprattutto perché a guidare il gruppo dei garanti c’era, e c’è ancora, Carlo Azeglio Ciampi, l’ex Capo dello Stato che mi ha altresì voluto con sé nel ristretto comitato di presidenza. Sul Sole 24 Ore di ieri c’è dunque Luzzatto che s’è preso di petto il 150° accusando l’attuale governo, nella persona di «livello» (basso, ovviamente) di Sandro Bondi, di aver utilizzato una sorta di manuale Cencelli al fine di porre l’anniversario dell’Unità sotto il segno della «memoria condivisa». A un certo punto Luzzatto si è chiesto: «Che cosa garantisce per esempio il garante Pietrangelo Buttafuoco, noto giornalista di estrema destra? Quale idea della storia d’Italia, quale memoria delle nostre vicende collettive? Forse la speranza che le celebrazioni dell’Unità nazionale arrivino a comprendere anche la marcia su Roma, “bellissima marcia”, scrisse Buttafuoco sul Foglio del 2 aprile 2004?».

Capisco di essere il suo chiodo fisso: anni fa Luzzatto scatenò una campagna violenta contro di me per evitare che vincessi il Campiello con il mio romanzo Le uova del Drago. E se lo dice lui che ho definito «bellissima» la Marcia - lui che mi fa il grande onore di collezionare tutto ciò che scrivo - non posso certo contraddirlo. Ricordo di aver perfino fatto, credo in quel 2 aprile, o magari un altro giorno (lui solo lo sa), l’elogio di Mino Maccari che in quel 28 ottobre 1922 alzò al cielo il motto: «O Roma, o Orte». Ho perfino fatto, come ben sa lui che mi colleziona, l’elogio di San Padre Pio che a sua volta elogiava «il manganello di Peppino Caradonna». Ecco, capisco di buttarla troppo in avanspettacolo facendo torto al suo mestiere di odiatore, ma se lui per fascista intende un intollerante, uno che per meglio calunniare il proprio avversario lo deforma, ebbene, in questo caso il fascista è lui. E mi scuso con i fascisti che sono tutti morti. I fascisti, così come i comunisti, erano fascisti e comunisti quando c’erano il fascismo e il comunismo. Cercarli oggi, scimmiottando sentimenti che non ci appartengono, è ridicolo. Nel suo caso, il militare in idee-cadaveri è anche vigliacco. Insomma, Luzzatto è solo un odiatore da tavolino che - fortuna sua - traffica non in marce ma in cattedre, non in rivoluzioni ma in concorsi e collaborazioni editoriali protette dalla Confindustria e da Gianni Riotta, celebrato finto avversario compiacente del Governo Berlusconi. Lui, il simpatico odiatore Luzzatto ovviamente ha diritto di vedermi come vuole: étoile della Scala, pescatore di trote, compagno di merende... o appunto. Lui che ha letto tutto di me avrà certamente divorato il mio Cabaret Voltaire, dove la butto proprio brutta con la destra, a maggior ragione con l’estrema xenofoba visto che io, da quel dì, campo di pane e studio dell’Islam. Di pane e studio dell’India. Di pane e studio della sublime tradizione sciamanica siberiana. Tutto ciò per portare al tavolo dei garanti anche Roma, proprio nel senso di Roma Orma Amor: l’idea primigenia dell’Italia. Quella di Virgilio, prof. Luzzatto, non quella dei Quadrumviri del 1922. E torno ancora un attimo al «noto giornalista d’estrema destra», dunque. Il certosino collezionista odiatore ha scritto così, ma voleva dire giornalista fascista e antisemita, giusto per linciarmi. Perché, ebbene sì, io sono il suo doppio, la sua paura, il suo fantasma: colpisce in me l’intollerante che si agita in lui. Caro Giornale, da quando mi sono accorto che lo squadrista Luzzatto raccoglie tutti i miei articoli, dal Foglio a Panorama, ho raggiunto una nuova, più matura sicurezza. Grazie a lui, infatti, ogni mio pezzo di carta non va perso. E confesso che nei miei articoli metto sempre una frase per lui. Tipo: «I nazisti almeno vestivano bene». Tanto lui ci casca sempre. So insomma come alimentare la sua morbosa passione. Pensate che il mio caporedattore mi prende perfino in giro: «Mi raccomando, Buttafuoco, non dimenticare la frase per Luzzatto!».

06/08/09

Perchè si emigra dal Sud

Il Sud non è solo i numeri del suo abbandono. Non è solo un dato di emigrazione giovanile. Non è solo un tratto parossistico del fallimento della politica per e del Mezzogiorno. Il Sud è diventato nuovamente il terreno di un racconto che parla di vicende avventurose, di legami “maledetti” e di gente che «sogna la grande città e poi si perde nel traffico». Perché, come scrive Mario Desiati, «i dati sull’emigrazione si trasformano in vite umane, in volti, in facce». E di questo abbiamo parlato proprio con il trentaduenne scrittore martinese di origine (nel senso di Martina Franca), poliglotta (parla inglese, tedesco, ceco e, appunto, martinese) e tifoso del Martina. Perché di questo fenomeno se n’è occupato nel suo ultimo libro-inchiesta Foto di classe (Editori Laterza). E lo ha fatto sotto forma di un racconto di una generazione che tra i “fuggiti”, i “fedeli”, i “mammisti” e i “rimasti” (che sono i capitoli-tipi che si ritrovano tra le pagine del libro) parla di quei giovani «quasi grati al destino di essere andati via». A qualunque costo, fosse anche per fare quello che a casa propria non si farebbe mai. «È questo che non capisco perché se si va via per vivere peggio, vuol dire che l’aria non è buona, che la stessa società è diversa». Già, perché dal Meridione non si parte come una volta per disperazione e con quattro stracci, ma adesso lo si fa con una laurea, se non con un master, e un notebook per compagno. Per questo, agli occhi di un ventenne come di un trentenne, il dibattito della politica di questi giorni sembra non centrare appieno il problema.

Il punto di partenza è una verità strutturale – diremmo storicizzata - ma che si riempie di una novità significativa. «Il Sud è più arretrato. Ma adesso per un motivo in particolare: perché la sua classe dirigente è quella che rende ricco il Nord. E questa è la ragione per cui ho scritto il libro». E qui tornano i dati del rapporto Svimez che fotografa come adesso siano i giovani con una formazione medio-alta ad andare via dalla Calabria, dalla Puglia o dalla Sicilia. Raccontare, quindi, di «migliaia di persone all’anno che vanno su, di cui tante sono poi individualità di successo. E raccontare poi che ciò accade anche laddove ci sono tante aree del Sud dove la criminalità non è così potente: questo fa emergere drasticamente come la grande perdita siano le risorse umane e le idee». Se una certa iconografia dell’emigrazione è cambiata, non è così però con i problemi legati al territorio: «Quei pochi che tornano, però, sono sommersi dall’Italia del familismo, del nepotismo». Ecco il nodo politico. Se non si comprende questo, tutte le politiche di sostegno finiscono per rinnovare sprechi e logiche vetero-clientelari. «Non servono a nulla i soldi a pioggia. Io, ad esempio, sono e continuo a essere un sostenitore del progetto politico di Nichi Vendola sull’immigrazione giovanile: cioè quello di agevolare il ritorno dei ragazzi con delle iniziative legate allo sviluppo nel territorio. Ma questo è un tema scomodo, che non ha colori politici perché è un nodo che tutti i governi non hanno saputo finora affrontare. Paradossalmente l’unico che potrebbe farlo al Sud è la Lega Nord, perché ha una vera vocazione territoriale. Ma è fantapolitica».

Ma cosa è cambiato nelle motivazioni dei ragazzi che lasciano casa? Secondo Desiati, alla base di questo nuovo tipo di emigrazione «adesso vi è una ragione esistenziale prima quasi sconosciuta: sentita cioè dalla mia generazione in poi. Per chi supera i trentacinque anni vi è ancora una certa retorica dell’abbandono e delle responsabilità legate alla propria scelta. Adesso non è più così». Già, ma non per tutti ciò si traduce poi in un successo individuale o nel coronamento di un progetto di vita. Molte volte, infatti, significa lavori precari, mal pagati e spesso neanche coerenti con il proprio percorso. Perché allora si sceglie di non tornare indietro? «Un motivo nuovo è dettato dal fatto che noi siamo i post-“generazione X”, i post-internet: dove, per paradosso, proprio tanta attenzione mediatica e la stessa tecnologia non hanno fatto altro che farti sentire in “provincia”, e tutto questo nonostante si siano accorciate le distanze. Si avverte, cioè, maggiormente di essere “fuori” e di conseguenza il disagio aumenta». Emblematico un esempio raccontato nel libro: «“Io mi sento vivo”, mi è stato detto da un ragazzo che fa il “pr” estivo facendo la fame e preferisce così invece di stare a casa con un lavoro anche più remunerativo». Alla base, quindi, sembra esserci la necessità di nuovi spazi esistenziali. Che in un Sud “bloccato” e stagnante non riescono trovano forma. Ecco perché gli strumenti culturali del vecchio meridionalismo assistenzialistico sembrano insufficienti per interpretare questo nuovo esodo.

Ma, oltre a questo, un’ulteriore novità è emersa anche da un modo diverso di “starci” nei luoghi dove ci si sposta: «La cosa che stupisce è come oggi difficilmente uno si integra nel luogo dove sceglie di andare: adesso le proprie radici vengono mantenute e anche esibite con naturalezza. Io, ad esempio, non sono mai andato da un barbiere romano così come non cambierò mai la residenza». Una nuova generazione che non sembra, insomma, dimentica da dove viene. E che nell’epoca della mobilità si sente intrinsecamente in diaspora. Forse per questo la rabbia verso le istituzioni monta. «Il problema è che il Sud non è ancora una terra del tutto liberata: dalla criminalità, dalle antiche concezioni, ci si muove con grosse difficoltà. E la politica dovrebbe interpretare prima di tutto questo». Ma se la risposta si chiama, ad esempio, un fantomatico partito a vocazione sudista? «Certo pensare che dietro a questo ci siano i protagonisti della stessa stagione di tanti anni fa non volge a suo favore. No, il partito del Sud avrebbe un senso se fosse composto da gente sotto i quarant’anni. Se non è fatto da gente “vergine” non è credibile: un po’ come sta già accadendo».

Alla fine una curiosità. Ma se a questi giovani laureati del Sud un giorno dovessero fare l’esame dell’idioma della terra dove hanno scelto di portare le proprie capacità? «Non diciamo sciocchezze! Ma il dialetto non può essere istituzionalizzato. Perché è la grammatica del cuore. E non è possibile fare l’esame dei sentimenti».

di Antonio Rapisarda (Secolo d'Italia, 06/08/2009)