30/09/08

Il regista Spike Lee accusa: i partigiani erano solo dei vigliacchi.


Spike Lee, registra afroamericano e di note simpatie progressiste, presentando il suo ultimo film, ha dichiarato: «I partigiani non erano amati, dopo le imboscate fuggivano e si nascondevano sulle montagne lasciando i civili alle reazioni dei tedeschi. Io non ho inventato nulla, fu Kesselring a concepire il principio della decimazione».

Ora si attende l'affondo decisivo del campione dell'ortodossia antifascista Gianfranco Fini.

Spike Lee non può certo sottrarsi alla reprimenda del presidente della camera ardente.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

L’ex br Morucci dà lezioni di libertà a Napolitano


Luca Telese, Il Giornale

Arrivi alla Casa del Libro pensando che la notizia sarà la contestazione di un ex brigatista. Ma non è così. A fare notizia sono le parole dell’ex brigatista, Valerio Morucci, che approfitta della presentazione del suo ultimo romanzo parabiografico (Patrie galere, Ponte alle Grazie) per parlare della sua esperienza detentiva, ma anche di libertà di espressione, di regimi più o meno totalitari, del problema di cittadinanza degli ex brigatisti. E quindi, nel pieno di un dibattito a tre, introdotto dal direttore di Liberazione Piero Sansonetti e intervistato-presentato da una giornalista come Federica Sciarelli, la conduttrice di Chi l’ha visto?, Morucci cesella due affermazioni che sicuramente non passeranno inosservate. La prima prende spunto dalla contestazione del presidente dell’associazione delle vittime Domus Civitas, Bruno Berardi: «La contestazione della libertà di espressione non può avvenire in una democrazia, ma solo negli Stati etici, nei regimi totalitari. Purtroppo in questi tempi, e sono state le cariche più importanti della Repubblica, da molte voci è arrivata questa posizione: “Tu non puoi parlare”. Io lo considero un anticipo di Stato totalitario». Il riferimento, nemmeno tanto velato, alle cariche della Repubblica è ovviamente per il presidente Giorgio Napolitano, che si è espresso pubblicamente sull’opportunità del silenzio per chi si è macchiato di reati di sangue. Ma Morucci si spinge più in là, e, con il gusto della provocazione che gli è proprio, si diverte a giocare con il paradosso: «Queste provocazioni continue, questa messa in discussione dei diritti civili più elementari, mi inquieta. Mi fa pensare non tanto al regime fascista, perché nel 1922, soprattutto grazie al ministro Bottai, c’era un regime che garantiva una grandissima libertà di espressione. A me sembra, invece, che con la morale repressiva e autoritaria di chi vuole negare a qualcuno il diritto di parola, ci avviciniamo molto di più al 1984 di Orwell».
La cronaca della serata, dunque, spiazza. La contestazione annunciata che dà spunto alla riflessione amara di Morucci è in realtà molto civile e molto dimessa. Berardi, che aveva annunciato una sorta di sit-in con i familiari delle vittime della strage di via Fani, arriva in realtà davanti alla sede della Casa del Libro, dove si teneva la presentazione, accompagnato soltanto da un portavoce. È arrabbiato, ma prima ancora che con Morucci, con l’amministrazione comunale e con le istituzioni: «Questo signore è stato il carceriere di Aldo Moro, non è possibile che faccia soldi con la memoria delle vittime. Ma soprattutto non è possibile che presenti le sue opere in una sala comunale, in uno spazio messo a disposizione dalle istituzioni. A noi, familiari di chi è caduto negli anni di piombo, spesso hanno negato delle sale per presentare dei libri che parlavano delle nostre storie». Berardi più parla, più si infervora: «Avete capito? Io non osteggio tanto chi presenta il libro, ma soprattutto il Comune che gli mette a disposizione lo spazio. Ne faccio un discorso di principio, noi vittime siamo dimenticate, ce ne stiamo chiuse in un recinto come le pecore, mentre loro, gli ex assassini, se ne vanno in giro come i lupi». Questa sorta di conferenza stampa volante si trasforma in una sorta di botta e risposta in diretta, perché, più o meno a metà del discorso di Berardi, dalla sala esce Federico Scanni, dirigente dell’associazione Ciak ’84, organizzatrice della rassegna che ospitava la presentazione di Patrie galere. L’associazione, tradizionalmente progressista, e di sinistra, finisce per prendere le difese del sindaco Alemanno: «Guardi, Berardi, in questo evento il Comune non c’entra nulla, e non ci mette bocca. Perché è organizzato dentro gli spazi della Casa della Cultura, ma con una nostra piena autonomia artistica e culturale. Quindi, nel caso, se la deve prendere con noi». Il portavoce di Berardi, a questo punto, quasi si arrabbia: «Ma scusi, loro l’elenco dei relatori ce l’avevano? E allora, i casi sono due. O non hanno visto il nome di Morucci, oppure hanno sbagliato a non intervenire. Ripeto: noi poniamo un problema di metodo».
Dentro, intanto, con una sala piena, il dibattito va avanti. Sansonetti sostiene che nel libro si capisce che «la cultura della penna sostituisce la certezza del diritto», mentre la Sciarelli, con piglio da intervistatrice navigata, pone a Morucci le domande che senza saperlo Berardi gli sta rivolgendo fuori: «C’è chi le chiede, che diritto ha un ex brigatista a fare soldi?». Morucci sospira, fa una pausa. «Primo, se non sei Bruno Vespa, soldi con i libri non ne fai. Secondo, qui entriamo nel diritto e nella libertà di espressione. E credo che questo discorso degli ex brigatisti che non possono scrivere, sia molto pericoloso. Perché finisce per negare il diritto di chi i libri li compra, e di chi i libri li vuole leggere». Poi, l’ex telefonista del caso Moro aggiunge: «Se poi in questi libri, venissero scritte cose indegne o infami, sarebbe giusto che ci fosse una reazione. Ma la censura a priori, quella no, quella non si può fare», risponde a Berardi. Ma parla anche, e soprattutto, a Napolitano e a chi ha condiviso la sua denuncia

Anonimo ha detto...

Come regista non chiedo scusa a nessuno per il film che ho diretto. Se ci saranno discussioni vuol dire che in Italia la ferita è ancora aperta. Le interpretazioni sono varie, il fatto è uno solo: il 14 agosto del ´44 furono uccisi 560 innocenti. Mi dispiace se ho offeso i partigiani, ma non credo che all´epoca, qui come in Francia, tutti gli italiani amassero la Resistenza. I partigiani combattevano poi si ritiravano sulle montagne, lasciando i paesi in balia delle ritorsioni imposte da Kesserling: dieci italiani per ogni tedesco ucciso».

Anonimo ha detto...

Ho sentito Bush dire, in un tiggì, che il piano da 700 miliardi si farà lo stesso, congresso o non congresso

In Europa le dinamiche impongono riposizionamenti che sono comunque già in atto. Ci sarebbe da capire dove tendono e a cosa potrebbero portare questi cambiamenti. E quali potrebbero essere le reazioni americane. Beato chi ha la possibilità di accedere alle 'stanze del potere'...

Anonimo ha detto...

L'outing di Christian Abbiati, portiere del Milan fascista nel privato e ora anche in pubblico, ha allargato praterie di potenziali rivelazioni nel mondo del calcio italiano, da sempre silenziosamente a destra. Quelle parole rimbalzate in tutta Europa - "del fascismo condivido ideali come la patria, i valori della religione cattolica e la capacità di assicurare l'ordine" - sono sottoscritte, oggi, da una crescente platea di calciatori e dirigenti italiani.
La forza delle frasi rivelatrici di un portiere che è abituale frequentatore dei leader di Cuore nero, succursale dell'estremismo nero milanese e luogo di riferimento per gli ultrà dell'Inter, più che nell'indicare il solito revisionismo pret a' porter italiano che vuole un fascismo buono prima del '38 ("rifiuto le leggi razziali, l'alleanza con Hitler e l'ingresso in guerra", ha detto Abbiati) segnala come anche i calciatori, notoriamente pavidi nelle dichiarazioni, oggi comprendono che queste "verità" si possono finalmente dire: il vento del 2008 non le rende più pericolose per le loro carriere.

Sono diversi i campioni italiani che indossano numeri sinistri e sventolano effigi del Ventennio per poi giustificarsi: "Non lo sapevo". Il portiere Gianluigi Buffon, figlio di famiglia cattolica e impegnata, è stato sorpreso in quattro atti scabrosi. La maglia con il numero 88 che rimandava al funesto "Heil Hitler" segnalata dalla comunità ebraica romana, poi la canottiera vergata di suo pugno con il "Boia chi molla". Nel 2006, durante le feste al Circo Massimo per la vittoria del mondiale, si schierò - mani larghe su una balaustra - davanti allo striscione "Fieri di essere italiani", croce celtica in basso a destra. E i suoi tifosi, gli Arditi della Juventus, un mese fa a Bratislava gli hanno ritmato "Camerata Buffon" ottenendo dal portiere un naturale saluto. Quattro indizi, a questo punto, somigliano a una prova.


E' da annoverare tra i fascisti per caso il Fabio Cannavaro capitano della nazionale che a Madrid sventolò un tricolore con un fascio littorio al centro: "Non sono un nostalgico, ma non sono di sinistra", giura adesso. Nel 1997, però, pubblicizzò in radio le prime colonie estive Evita Peron, campi per adolescenti gestiti dalla destra radicale. Il suo procuratore, Gaetano Fedele, assicura: "Un calciatore può essere strumentalizzato inconsapevolmente".

Nella capitale si sta consumando un pericoloso contagio tra la curva della Roma, egemonizzata dalla destra neofascista, e i giovani calciatori romani. Daniele De Rossi, capitan futuro destinato a sostituire Totti, è un simpatizzante di Forza Nuova. E l'altro romanista da nazionale, Alberto Aquilani, colleziona busti del duce - li regala uno zio - mostrando opinioni chiare sugli immigrati in Italia: "Sono solo un problema".

Molti portieri la pensano come Abbiati, poi. L'ex Stefano Tacconi fu coordinatore per la Lombardia del Nuovo Msi-Destra nazionale ed è stato condannato per aver usato tesserini contraffatti giratigli dal faccendiere nero Riccardo Sindoca. Matteo Sereni, figlio della destrissima scuola Lazio, oggi che è portiere del Torino continua a dormire con il busto di Mussolini sulla testiera del letto.

Il problema è che i calciatori navigano dentro un mare di ipocrisia che consente di tenere "Faccetta nera" nella suoneria del cellulare senza provare sensi di colpa. Questione di maestri. L'ex allenatore della Lazio Papadopulo non si è mai preoccupato delle svastiche in curva "perché in campo non vedo oltre la traversa". Spiega Gianluca Falsini, difensore oggi al Padova: "Giocatori di sinistra ce ne sono pochi e la nostalgia per il Ventennio ti viene per colpa dei politici contemporanei". Già. Nel campionato 2007-2008 in campo sono raddoppiati gli episodi di razzismo: sono stati sei. Mario Balotelli, stella emergente dell'Inter, italiano di origini ghanesi, così racconta l'ultima partita contro la Primavera dell'Ascoli: "Dall'inizio alla fine mi hanno detto: "Non esistono neri italiani". Era lo slogan dei fascisti, volevo uscire dal campo".

Anonimo ha detto...

ARTICOLO DELIRANTE TRATTO DA REPUBBLICA