31/08/09

La storia opaca dell’allontanamento di Ignazio Marino, atto II

“Una serie di irregolarità intenzionali e deliberate”. E’ questa la principale accusa contenuta nella lettera inviata dall’University of Pittsburgh Medical Center (UMPC) al medico e senatore Ignazio Marino il 6 settembre 2002 e pubblicata ieri dal Foglio. Il testo, sottoscritto e siglato in tutte le sue pagine dal chirurgo, contiene i termini delle circostanze che hanno “affrettato” le dimissioni di Marino dall’università americana. Marino – candidato alla segreteria del Pd – era direttore e co-fondatore dell’Ismett, il centro di trapianti di fama internazionale nato a Palermo in collaborazione con l’Università di Pittsburgh, dove Marino si era distinto per una brillante carriera nell’ambito della trapiantologia.

Nella lettera, il direttore dell’UPMC, Jeffrey A. Romoff, spiega che il motivo per la fine del rapporto di lavoro sono le gravi irregolarità amministrative commesse da Marino, nello specifico le “dozens of duplicate originals of receipts”, espressione che in in italiano si traduce così: note spese truccate. La missiva, firmata da Marino, stabilisce la restituzione del denaro da parte del medico e impone una serie di dure condizioni per la risoluzione del rapporto. A Marino viene concessa una settimana per liberare l’ufficio di Palermo e gli è intimato di non fare ritorno nemmeno nell’ufficio di Pittsburgh. Nella lettera si legge che fra le altre irregolarità ci sono “duplicati di ricevute con note scritte da Lei a mano” e “sebbene le ricevute siano per gli stessi enti, i nomi degli ospiti scritti a mano sulle ricevute presentate a Pittsburgh non sono gli stessi di quelli presentati all’UPMC Italia”.

Infine, l’UPMC assicura a Marino che “manterrà confidenziali i termini delle Sue dimissioni e delle circostanze che le hanno affrettate” e promette che “fornirà referenze neutrali, ovvero saranno fornite soltanto le date del rapporto di lavoro e la posizione da lei occupata”. Per buona parte della giornata di ieri il contenuto della lettera è stato ignorato dalle agenzie e dai giornali on line. Il primo a reagire, poco depo le 13, è stato Mario Adinolfi, membro della direzione nazionale del Pd e sostenitore di Dario Franceschini alla segreteria. Anche un altro candidato alla segreteria, Pier Luigi Bersani, ha mostrato solidarietà per Marino: Nel tardo pomeriggio Ignazio Marino ha parlato con il Foglio, spiegando la sua linea difensiva. A oggi, anche a seguito della conversazione con Marino, le lettere più importanti di cui il Foglio è in possesso sono due. La prima contiene i “termini della separazione” ed è stata inviata a Ignazio Marino alle 15.21 del 6 settembre del 2002 dall’università di Pittsburgh. Marino la riceverà su un fax palermitano e, dopo averla letta, a mezzanotte e sedici minuti la rinvierà ancora a Pittsburgh.

La lettera si conclude così: “La sua firma sulla linea sottostante indicherà l’accettazione di questi termini e la sua intenzione di essere legalmente vincolato a essi”. Alla fine della lettera, subito dopo la firma del boss dell’UPMC Jeffrey A. Romoff, non solo c’è la firma di Marino ma per presa visione c’è anche quella di Claudia Cirillo, oggi segreteria particolare del senatore. La lettera, poi, presenta non una ma quattro firme di Marino. Oltre a quella in calce alla missiva, alla fine di ogni pagina c’è la sigla del senatore: IRM, che sta per Ignazio Roberto Marino. Il senatore definisce quella lettera “una bozza” e sostiene che “senza una copia cartacea mandata su carta pesante, quella gialla, la bozza non ha valore”. “Quella lettera, con l’inchiostro, non è mai stata firmata”. Marino dice di aver firmato “l’accettazione della ricevuta via fax” e che poi ha fatto rinegoziare i termini ai propri avvocati. Per dimostrare la rinegoziazione dei fatti, Marino ci consegna una lettera datata 6 settembre 2002, il cui orario è di poco successivo alla prima: 18.56. Questo documento, secondo Marino, dimostra che i termini della rinegoziazione sarebbero stati discussi successivamente alla lettera pubblicata ieri dal Foglio ed è un così detto “regolamento d’esecuzione”, in cui si definiscono i tempi, i modi e le condizioni della “transizione”.

A Marino vengono restituiti documenti personali, annotazioni di letteratura scientifica, corrispondenza personale di vecchi pazienti e il diritto di ritenere, senza costi aggiuntivi, il laptop. “Nonostante l’Accordo stabilisca il contrario – si legge nella lettera — il Dr Marino non dovrà lasciare il suo appartamento il 30 settembre 2002”. La lettera è stata inviata dallo studio legale che ha curato la rinegoziazione, “Rotham Gordon”, al legale dell’Upmc (Gorge A. Huber) e a quello di Marino (Cristine L. Donhue) e porta la firma dell’avvocato del senatore, e secondo Marino è questo “l’ultimo documento combinato che ha le firme di entrambe le parti”. Quanto alla vicenda dei doppi rimborsi Marino non smentisce quanto accaduto. “In quel momento di tensione che si è creato, una revisione della contabilità ha dimostrato che c’erano discrepanze per 8 mila dollari. Effettivamente non posso dire che non ci siano state queste discrepanze, sarebbe scorretto non dirlo”. “Quello che il Foglio non dice – sostiene Marino – è che fui io stesso ad accorgermi di alcune imprecisioni e a comunicarle all’amministrazione”. Nella lettera inviata il 6 settembre dall’Upmc c’è però un passaggio chiaro in cui non si fa riferimento ad alcuna comunicazione precedente di Marino e dove l’Upmc dice che il senatore sarebbe stato “scoperto”.

Marino sostiene poi che l’opaca durezza di questa lettera sia dovuta a un fatto particolare. Nel giugno 2002, il chirurgo aveva ricevuto un’offerta di lavoro da un altro importante istituto americano (il centro trapianti dell’università di Philadelphia) e nella prima settimana di settembre a quella proposta il futuro senatore dirà di sì. Secondo Marino, quando Jeffrey A. Romoff parla di “altre irregolarità” scoperte dall’Upmc si riferisce solo a questa vicenda. “Sapevano – spiega Marino – che avevo accettato il contratto economico”. Durante il colloquio, le ragioni della durezza della lettera vengono infine spiegate da uno dei firmatari della mozione con cui il senatore si presenterà a ottobre a guidare il Pd: Ivan Scalfarotto: “Se un dipendente ha fatto qualcosa di sbagliato e tu non vuoi metterti a licenziarlo per giusta causa gli fai pressione psicologica e gli dici ‘guarda tu stai facendo questo imbroglio è meglio che te ne vai’”.

Nel corso della giornata di ieri, infine, il Foglio si è messo in contatto con alcuni dei protagonisti. A Pittsburgh, abbiamo chiesto di replicare a Paul Wood, vicepresidente dell’Upmc e responsabile delle pubbliche realzioni. Wood ha risposto ma non ha chiarito la vicenda. “Thank you for your inquiry. At his point in time, we have no comment”. A quanto pare, la sede dell’UPMC di Pittsburgh ha avvisato dell’inchiesta del Foglio anche la sede distaccata italiana. Alle 16.45, il responsabile dell’International Marketing Communications risponderà alla nostra richiesta di chiarimenti con queste parole: “Lei dovrebbe aver ricevuto questa mattina una mail da parte di Paul Wood, capo ufficio stampa di UPMC. Cordiali saluti”. Alla fine della giornata, resta una zona opaca sulle ragioni dell’allontanamento di Marino dall’università di Pittsburgh. E sulle note spese contestate una smentita delle irregolarità “intenzionali e deliberate” (cui Romoff fa riferimento nelle lettera sottoscritta da Marino) non c’è.

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