17/12/09

Caro Gesù, ti scrive un soldatino.

Marcello DE ANGELIS.

Il 7 maggio del 1967, assieme al maggiore dei miei fratelli, ho ricevuto il sacramento della Cresima, che allora si poteva avere contestualmente a quello della Comunione. Eravamo in sette ad essere sacramentati e la ridondanza di questo numero, che avevamo imparato già alle elementari a considerare simbolicamente importante (i sette colli, le sette meraviglie e persino i sette nani...), ci parve rendere ancora più decisiva quella giornata.

Il giorno fu infatti carico di emozioni, tanto che la sera, a letto dopo Carosello, non riuscivamo a prendere sonno e chiacchierammo a lungo del grande cambiamento che l’evento avrebbe portato nelle nostre vite. Mio fratello - bambino dalle visioni semplici e chiare - mi chiese quando, secondo me, ci avrebbero mandato a fare le crociate.

Alla mia domanda di chiarimenti mi rammentò, sottolineando la mia scarsa comprensione delle cose, che il vescovo, ungendoci e mettendoci la fascia con la croce sulla fronte, ci aveva ordinati “soldati di Cristo” e questo aveva un significato incontrovertibile: i soldati combattono, quelli di Cristo combattono contro i nemici di Cristo. E gli unici che gli venivano in mente, per conoscenze storiche, erano i musulmani, che occupavano i luoghi santi.

Io ero già da allora considerato - da mio fratello in particolare - un piccolo saccente petulante, quindi quando gli feci notare che in quel momento non c’erano crociate in corso e che a Gerusalemme non c’erano tanto i maomettani quanto gli israeliani, si mostrò stizzito ma non insistette più di tanto, rinviando a ulteriori approfondimenti.

A distanza di anni però, le crociate ancora non iniziavano e noi volevamo ancora essere soldati di Cristo. In Medio Oriente c’era la guerra sì, ma coinvolgeva più nazioni che religioni e la nostra immaginazione venne catturata dal conflitto scoppiato in Nord Irlanda tra cattolici e protestanti. I cattolici erano evidentemente vessati e vittime della violenza odiosa degli eretici - che noi ritenevamo tra l’altro non essere irlandesi ma inglesi invasori.

La sera, nelle mie preghiere prima di dormire, cominciai a chiedere quotidianamente a Gesù di far morire il reverendo Ian Paisley, leader dei lealisti che vedevo, in un’informazione televisiva in bianco e nero (in tutti i sensi), come i nemici della nostra religione. Dio non mi dette mai ascolto, tant’è che il reverendo è ancora in vita e finì per fare parte del primo governo “misto” del Nord Irlanda in accordo con i cattolici repubblicani del Sinn Féin.

Pochi anni dopo - eravamo alle medie - le nostre speranze di essere chiamati a combattere vennero risvegliate dagli scontri tra Valloni (francofoni e cattolici) e Fiamminghi (germanici e protestanti), in Belgio. In televisione assistevamo a sassaiole e cariche della polizia e speravamo che lo scontro dilagasse in tutta Europa opponendo ovunque cattolici e protestanti come nella Guerra dei trent’anni. Noi, ovviamente, soldati di Cristo, avremmo difeso la Santa sede e il Santo padre. Avevamo fatto le elementari dalle suore e già da molti anni eravamo negli scout cattolici, che ci avevano rafforzato nell’idea di essere cavalieri che combattevano senz’armi al servizio di Dio.

Sette anni dopo la cresima avevamo trovato una visione più chiara di chi dovessimo combattere. Giunti al liceo avevamo conosciuto i comunisti - che nel Sessantotto animavano i miei incubi perché la suora ci diceva che avevano occupato l’Università dove aggredivano i religiosi e spezzavano i crocefissi - e che dal vivo erano anche peggio. Oltre a odiare Dio erano anche nemici della Patria. Oltre a spezzare i crocefissi sputavano sul Tricolore e questo noi, che come primo libro avevamo letto Il piccolo alpino di Salvator Gotta e avevamo promesso «sul nostro onore» da giovani esploratori, «di fare del nostro meglio per compiere il nostro dovere verso Dio e verso la Patria», non potevamo proprio permetterlo.

Ben presto, prima che un nuovo settennato fosse compiuto, scoprimmo che i veri nemici di Dio e della Patria si nascondevano spesso sotto le insegne delle istituzioni, truffando e derubando il popolo che gli dava fiducia e servendo come lacchè le potenze straniere che ci avevano sconfitto in guerra. I comunisti restavano comunque nei nostri pensieri, anche perché, a loro volta, avevano scoperto quanto utili nemici fossimo noi, che nel frattempo eravamo militanti di destra a tempo pieno, tentando di spedirci all’ospedale o al Creatore in vari modi e cercando di mandare in fumo o in pezzi la nostra casa.

Non so a quali riflessioni sarebbe giunto mio fratello con un ennesimo settennato, non lo saprò mai. Morì in una cella del carcere di Rebibbia a ventidue anni, ancora assolutamente convinto di combattere contro i nemici di Dio e della Patria.

Io, che di settennati ne ho maturati invece alcuni altri, continuo ad aggiustare la mia schmittiana “identificazione del nemico” con il variare dei tempi e della storia. A cinquant’anni ritengo, senza più l’innocenza del bambino o del ragazzino, che il nemico di Dio sia l’ateo e non chi prega in un’altra lingua. E considero blasfemo chi asserisce che gli altri preghino un Dio diverso dal nostro, perché Dio è e può essere solo Uno (come sapeva già Plotino).

Ho continuato a sentire Dio chiamarmi alla crociata per liberare i luoghi santi (la chiamata che tanto aspettava mio fratello che come ultimo progetto, prima di morire, voleva raggiungere il Libano per combattere con i maroniti), ma quei luoghi vorrei liberarli dall’odio che genera odio, da una pratica quotidiana di umiliazione e di violenza e dalla disperazione che non ci possa mai più essere una soluzione di giustizia e di pace.

Non prego più Dio di far morire gli avversari del cattolicesimo, ma sicuramente lo imploro quotidianamente di inibire le capacità di espressione di chi sporca tutto ciò che è sacro sfruttandolo per una prima pagina, un po’ d’attenzione televisiva, per vendere qualche copia in più di un libro o di un quotidiano o, peggio ancora, per buttarsi in politica.

I simoniaci, quelli che fanno commercio delle cose di Dio, quelli sì che mi fanno schifo. E quelli che straparlano di cose a cui non hanno dedicato nemmeno sei mesi di studio. E quelli che parlano a nome di questi o quelli senza rappresentare altro che se stessi. Che si dicano cristiani o musulmani.

Mi commuovo ancora per quel bambino nato in Palestina, un ebreo rinnegato dai suoi, considerato un sovversivo da tutti, sacrificato sulla croce per placare i conflitti politici e riportare l’ordine in una colonia. Un bambino che un miliardo di persone considerano figlio di Dio e un altro miliardo considerano uno dei più venerabili profeti di Dio. Non lo considerano Dio, perché, dicono, se Dio è unico non può esserci nessun altro come lui, e non capiscono proprio come si possa essere Uno e Trino.

E venerano Maria, ma non la chiamano Madre di Dio, perché Dio, che è il padre di tutte le cose, non può avere né padre né madre, perché il creatore non può essere creato. E chiamano Gesù “il profeta Isa”, ma non “il figlio di Dio” perché, dicono, siamo tutti figli di Dio.
Ma nessuno, oggi, li considera nemici per questo, bensì perché parlano strano, odorano strano, si vestono strano e pregano facendo cose buffe. Quindi vanno tenuti fuori dal nostro mondo perché essere strano, evidentemente, è contagioso e potrebbe far diventare strani anche noi.

C’è il pericolo che le nostre figlie, anziché andare a ballare sui cubi a dodici anni, mettersi il pearcing, la minigonna e magari abortire a sedici e chiederci le tette e il naso finto per il loro diciottesimo compleanno e a quarant’anni - donne autonome e affermate - modificarsi anche le labbra, gli zigomi e qualche altro pezzo, ci tornino un giorno a casa con un fazzoletto in testa, come le nostre nonne

Ancora non potrei giurare che Cristo sia la sola via e non potrei mai essere un soldato contro un altro fedele alla ricerca della verità per un’altra via. Né posso essere nemico di chiunque preghi sinceramente Dio. Comunque lo chiami e in qualunque altra lingua.

Vorrei ancora essere un soldato invece, per combattere fino all’ultimo giorno chiunque veneri alcunché al di fuori di Dio: la carriera e il successo, il danaro e il potere, il lusso, la menzogna, la vanità e, insomma, se stesso. Come certi conduttori e certe signore, certi direttori o peggio i loro vice.
Aiutami, ti prego, bambino Gesù, a non diventare mai come loro.

E se vedi che sto per diventarlo, fammi morire prima. Perché io credo nella vita eterna e morire è solo un ritornare a Dio, che è l’origine e la fine di tutte le cose. E questo è anche il mio biotestamento. Liberami, o Signore, da medici e magistrati, come dalla solitudine e dal dolore.

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