Arrestato come uomo di Cutolo, condannato e poi assolto nonostante i rapporti con il boss. Il passato di Cesaro, il deputato che guida la Provincia di Napoli
Da don Raffaè a Berlusconi, da messaggero di "lady camorra" Rosetta Cutolo a corriere di bufale per Silvio Berlusconi. Luigi Cesaro, presidente della Provincia di Napoli, vive da sempre all'ombra di qualcuno. Nel bene e nel male. Finito in carcere a metà degli anni Ottanta per i suoi rapporti di «amicizia con tutti i grossi esponenti della Nuova Camorra Organizzata in sigla N.c.o», il leader del Pdl napoletano vede oggi materializzarsi scenari cupi per le nuove rivelazioni dei pentiti. Stavolta i clan sono diversi - nei verbali degli ultimi mesi si parla di Casalesi - il tema però è lo stesso: l'intreccio tra criminalità, politica e cemento. Una sorta di déjà vu per l'uomo che da gennaio avrà il controllo della gestione dei rifiuti a Napoli e provincia. Il cui curriculum giudiziario è rimasto finora dimenticato negli archivi.
Il blitz
Quando gli uomini della squadra mobile di Napoli bussarono di notte alla sua porta, lui era già lontano. Passò qualche giorno prima che si presentasse in Questura: «Sono Luigi Cesaro di Francesco, nato a Sant'Antimo il 19 febbraio 1952». Quello del 1984 fu il compleanno più amaro per l'attuale presidente della Provincia di Napoli, coinvolto nell'operazione della polizia contro i cutoliani, all'epoca l'organizzazione criminale più famosa, che si era infiltrata negli appalti del dopo terremoto in Irpinia e aveva gestito assieme ai servizi segreti le trattative con le Brigate rosse per la liberazione del presidente dc Ciro Cirillo. Cesaro era un giovane avvocato, rampollo di una dinastia di costruttori. Ma due pentiti, Mauro Marra e Pasquale D'Amico, lo chiamano in causa. Marra sostiene che aveva «favorito i collegamenti tra i vertici della N.c.o.» e «ripetutamente finanziato» il gruppo camorrista. Accuse pesanti: aver garantito l'ospitalità, la latitanza, gli spostamenti dei boss e aver fatto da postino del clan, consegnando lettere e pizzini. Diciotto mesi dopo, il 18 maggio del 1985, il Tribunale di Napoli condannava Luigi Cesaro a cinque anni di reclusione.
Da accusato a vittima
In Appello Cesaro riuscì a far prevalere la sua versione dei fatti: non era il finanziatore del clan, si difese, ma solo una vittima. Le continue richieste degli "amici" erano diventate insopportabili per i Cesaro, costruttori in continua espansione in quegli anni. Ma l'attuale presidente della Provincia non si rivolse alle forze dell'ordine: chiese aiuto direttamente a Rosetta Cutolo, sorella di don Raffaele, come lui stesso ammise durante il processo. «Il Cesaro - scrivono i giudici nella sentenza di secondo grado - ha spiegato che al fine di sottrarsi alle pesanti richieste estorsive del gruppo di Pasquale Scotti (ammesse dal Marra) chiese i buoni uffici di Rosetta Cutolo la quale inviò una lettera di "raccomandazione" allo Scotti». Siamo negli anni della mattanza di camorra in Campania: 1.500 morti ammazzati tra il 1978 e il 1983 nella guerra tra i cutoliani e i rivali della Nuova Famiglia. 'O Professore è in isolamento all'Asinara: il clan, decimato dal maxi-blitz del giugno 1983, è nelle mani proprio di Pasquale Scotti. Che è latitante, come donna Rosetta, quando Cesaro gli consegna personalmente la "lettera di protezione". Ma secondo la Corte d'appello le prove per dimostrare che Cesaro fosse a tutti gli effetti organico alla N.c.o. non sono sufficienti: il 29 aprile 1986 viene assolto. I giudici però non nascondono i loro sospetti: «Il quadro probatorio relativo alla posizione del Cesaro non può definirsi tranquillante». E ancora: «Il dubbio che l'imputato abbia, in qualche modo, reso favori ai suddetti personaggi per ingraziarseli sussiste e non è superabile dalle contrastanti risultanze processuali». Un anno dopo arriverà l'assoluzione anche in Cassazione: «Per non aver commesso il fatto ». Firmato: Corrado Carnevale.
Il presidente postino
Quell'incontro fra Cesaro e il latitante Scotti era stato raccontato dallo stesso boss, dieci giorni dopo il suo arresto avvenuto il 17 dicembre 1983 dopo un violento conflitto a fuoco. Confessioni che, tuttavia, non sono mai entrate nel procedimento aperto contro il giovane avvocato. Scotti non era uno qualunque: capo del gruppo di fuoco della N.c.o. al quale furono attribuiti più di 40 omicidi, era diventato il reggente del clan di Cutolo. Cesaro lo incontrò nel mese di ottobre del 1983, quando era il ricercato numero uno. Poche settimane dopo Scotti fu sorpreso e catturato. È il 28 dicembre 1983 quando il boss parla negli uffici della Questura di Caserta: «Circa un mese, un mese e mezzo fa, ricevetti un biglietto tramite l'avvocato Cesaro di Sant'Antimo, figlio del costruttore Francesco Cesaro, il quale a sua volta l'aveva ricevuto dalla suocera di Raffaele Cutolo». Non dice nulla sulla presunta "raccomandazione" da parte di donna Rosetta in quelle righe: ignora cioè la versione che Cesaro darà ai giudici e che gli garantirà l'assoluzione. Secondo il racconto del boss, il messaggio consegnato nelle sue mani da Cesaro indicava solo il luogo per un appuntamento telefonico con Raffaele Cutolo che avrebbe poi chiamato dalla Sardegna C'era da organizzare la fuga di Marco Medda, altro nome leggendario di quella stagione sanguinosa, che mitra alla mano poi tenterà di risollevare con Scotti le sorti dell'armata cutoliana.
di Claudio Pappaianni
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento