07/01/10

Fini non accetta la critiche.

Marcello VENEZIANI

E alla fine arrivò la minaccia estrema: scissione. Se non la smettete di criticare Fini, se non sbugiardate Feltri e punite il Giornale, facciamo la scissione. Mamma mia, l’arma atomica. La parola bellicosa è risuonata su alcuni giornali, un avvertimento lanciato dai finiani a Berlusconi. Lasciamo da parte i giudizi e i sarcasmi sull’entità di una scissione del genere e ricostruiamo i fatti. Dunque, da quando è presidente della Camera, Fini ha assunto posizioni sistematicamente divergenti non solo rispetto a Berlusconi e al suo governo ma rispetto al suo elettorato, alla storia del suo partito e ai programmi politici sottoscritti in questi sedici anni. Ha creato una profonda spaccatura nella sua base elettorale, ha messo in grave difficoltà gli stessi esponenti di An, a livello nazionale e locale; ha intralciato l’opera del governo, si è fatto perfino parlamentarista buttando a mare una vita da presidenzialista e ha compiuto vistosi tradimenti dei valori politici, civili e culturali su cui la destra, prima che il Pdl, ha chiesto e avuto consensi. Ha poi accusato Berlusconi di governare come un monarca, quando lui regnava su An con poteri assoluti.

Il Giornale ha liberamente e duramente criticato questa deriva finiana. La reazione è stata di stampo mafioso: chiedere al premier di zittire il Giornale, magari epurando chi osa criticare Fini. Se i finiani chiedono di chiudere la porta alla Santanchè, o a Storace, rientra nella normale dialettica interna; ma se il Giornale, che a differenza dei primi non ha obblighi di partito perché è un giornale di opinione, critica la Polverini candidata alla Regione Lazio, è accusato di guerra civile e di sfascismo. Del fascismo Fini avrà rinnegato tutto, meno una cosa, la peggiore: chiudere la bocca a chi dissente. O la volgarità squadristica degli attacchi alla Santanchè, paragonata a Cicciolina e accusata di esprimere valori retrivi solo perché lei è rimasta di destra. Il guaio è che non si tratta di semplici minacce, chi conosce Fini e quel mondo di caporali, ha esperienze anche dirette di censure, chiusure e cacciate, perché «non gestibile», perché «inaffidabile», cioè non servizievole, e così via.

Evito di farne la storia e di far volare gli stracci. Una vecchia militante rautiana del Secolo nota che io avrei scritto cose interessanti negli anni Ottanta; ma non ho colpa io se lei non legge da quegli anni e da allora è imbalsamata al Secolo, dove ha vissuto con pieno consenso la stagione del fascismo del Duemila e dell’antifascismo del Tremila. Nel frattempo ho fondato e diretto settimanali, fondazioni, ecc.; ho scritto una quindicina di libri che qualche effetto hanno avuto anche sulla sua destra, ho scritto su svariati giornali, ho fatto qualche altro migliaio di cose. Criticabili, per carità. Ora siamo al ridicolo. Lunedì, in un editoriale, ho sostenuto che se oggi Bossi prende piede è perché manca una destra in grado di bilanciare la sua presenza.

E l’organo dei finiani mi accusa di essere diventato leghista; scusate, ma io dicevo esattamente il contrario, che per frenare Bossi è necessario che ci sia una destra in grado di far sentire il suo peso e di esprimere valori, sensibilità e identità diverse. Se chiedo a Fini di rilanciare il presidenzialismo e l’identità nazionale per arginare il federalismo (a cui non credo) e la tentazione padana, sono leghista io o siete scemi voi che mi accusate di leghismo? Ma non solo. Non ho mai sostenuto una destra appiattita su Berlusconi, anzi ho sempre espresso la necessità di una destra che faccia pesare la cultura, il senso dello Stato e i suoi valori nel centro-destra; sostengo da tempo che l’assenza di Fini lascia a Berlusconi la sovranità assoluta sul Popolo della libertà. Ma loro traducono tutto questo in modo infame e servile: si è venduto al berlusconismo. Ma se capite l’italiano e non siete in malafede, io ho detto l’opposto: se sciogliete la destra non resta che Berlusconi. Non so a questo punto se prevalgano i cretini o i servi. Mi auguro si tratti per loro solo di un momento difficile.
Ma qualcosa impedisce di ragionare liberamente, guardando in faccia la realtà. Alcuni obbiettano, ma la destra che sta disegnando Fini è moderna ed europea. Esempio più vicino, Sarkozy, lui mica ripete De Gaulle. Bene, Sarkozy vinse le elezioni annunciando di voler rovesciare il ’68, il suo programma politico ebbe quella chiave di impostazione. Fini ha detto esattamente il contrario, che la destra deve diventare sessantottina con quarant’anni di ritardo: la chiamate destra moderna o forse è una sinistra tardiva? Ora io mi auguro che questa tendenza scissionista, solo per far dispetto al Giornale, sia solo un effetto diabetico delle feste. Ma se volete rompere davvero con il Popolo della libertà e sottrarvi come voi dite alla logica del 51 per cento, se avete nostalgia del tre per cento, ma questa volta con l’applauso della sinistra e dei media, siete liberi di farlo. Mettetevi in proprio e buona fortuna.

Anche se a me dispiace, lo dico con franchezza perché non sparo nel mucchio, conosco alcuni dei finiani e so che non tutti sono Ronchi, ci sono persone che stimo. Ma se scegliete quella via, poi, non pretendete che da destra vi giunga pure l’applauso di incoraggiamento. Siete come quegli atei che vogliono abolire la fede ma pretendono la benedizione religiosa. Infine dico ai finiani: ma non avete capito che il Gianfranco balla da solo, si è smarcato da tutti e non sopporta seguaci? Non molestatelo, rispettate la sua solitudine.

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