29/04/09

Chavez precisa di non essere marxista, ma cristiano!

Il 25 aprile è morto.

Geniale, ancora una volta. Un altro stupendo colpo di scena in diretta-TV, con cui il Cav si è confermato padrone assoluto del palinsesto-Italia. Il 25 aprile era la «festa» della divisione perpetua, della lacerazione nazionale ritualmente rinnovata. «Farla tutti insieme», anche con le ministre che sono ex-veline nate dopo il 1970, significa farla finire. In vacca o, se preferite, in varietà televisivo per famiglie, tipo «Domenica In». Evviva il 26 aprile.

22/04/09

Il discorso di Ahmanidejad

Quello che segue è il discorso che il Presidente Iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha tenuto il 20 aprile alla conferenza sul razzismo Durban II, tenutasi a Ginevra

Signor Presidente, onorevole Segretario Generale delle Nazioni Unite, onorevole Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Signore e Signori:

Siamo qui riuniti per il proseguimento della conferenza di Durban contro il razzismo e la discriminazione razziale, per elaborare metodi pratici da adottare nelle nostre sacre campagne umanitarie.

Nel corso dei secoli trascorsi, l’umanità ha attraversato enormi sofferenze e dolori. Durante l’epoca medievale, filosofi e scienziati venivano condannati a morte. Poi seguì un periodo di schiavitù e di commercio degli schiavi. Milioni di persone innocenti vennero catturate, separate dalle loro famiglie, dai loro cari, per essere condotte in Europa e in America nelle condizioni peggiori. Si trattò di un periodo buio, fatto di occupazioni, saccheggi e massacri ai danni di quelle persone innocenti.

Dovettero passare molti anni perché le nazioni si risvegliassero per combattere in nome della loro libertà ed indipendenza, pagandole a caro prezzo. Milioni di vite andarono perse per cacciare gli occupanti e stabilire governi nazionali e indipendenti. Però i detentori del potere non impiegarono molto tempo ad imporre due guerre all’Europa, che afflissero anche parte dell’Asia e dell’Africa. Queste guerre orribili decimarono milioni e milioni di vite, lasciandosi dietro una massiccia devastazione. Fosse stata imparata la lezione impartita dalle occupazioni, dagli orrori e dai crimini di queste guerre, sarebbe spuntato un raggio di speranza per il futuro.

Le potenze vittoriose si atteggiarono a conquistatori del mondo, ignorando o calpestando i diritti delle altre nazioni attraverso l’imposizione di leggi oppressive e ordinamenti operanti a livello internazionale.

Signore e Signori, osserviamo dunque il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che è uno dei lasciti della Prima e della Seconda Guerra mondiale. Quale era la logica dietro la garanzia del diritto di veto per i suoi membri? Come può una tale logica soddisfare i valori spirituali e umanitari? Non parrebbe per niente conforme ai riconosciuti principi di giustizia, di eguaglianza davanti alla legge, dell’amore e della dignità umana? Non sembrerebbe piuttosto significare discriminazione, ingiustizia, violazione dei diritti umani o umiliazione della maggioranza delle nazioni e dei Paesi?

Il Consiglio è il più importante organismo mondiale in grado di decidere della sicurezza e della salvaguardia della pace internazionale. Come possiamo aspettarci la realizzazione della pace e della giustizia quando la discriminazione viene legalizzata e la fonte stessa del diritto è dominata dalla coercizione e dalla forza piuttosto che dalla giustizia e dal diritto?

La coercizione e l’arroganza sono l’origine dell’oppressione e delle guerre. Sebbene oggi molti fautori del razzismo condannano la discriminazione razziale a parole e negli slogan, un certo numero di Paesi potenti sono autorizzati a decidere in nome di altre nazioni sulla base dei loro propri interessi e a loro discrezione, potendo a loro volta violare facilmente tutte le leggi e i principii umanitari, come in effetti fanno.

A seguito della Seconda Guerra mondiale, hanno fatto ricorso all’aggressione militare per defraudare della terra un’intera nazione, avendo a pretesto la sofferenza degli Ebrei, ed hanno inviato immigrati dall’Europa, dagli Stati Uniti e da altre parti del mondo, con lo scopo di stabilire un governo completamente razzista nella Palestina occupata. E infatti, a compensazione delle spaventose conseguenze del razzismo europeo, essi hanno contribuito a portare al potere il più crudele e repressivo regime razzista in Palestina.

Il Consiglio di Sicurezza ha preso parte alla stabilizzazione del regime occupante, e l’ha sostenuto nei sessanta anni passati dandogli mano libera per commettere ogni sorta di atrocità. Ed è ancora più deplorevole che un certo numero di governi occidentali e degli Stati Uniti si sono impegnati a difendere quei razzisti autori del genocidio, mentre la coscienza lucida ed il libero pensiero delle persone sa condannare l’aggressione, le brutalità e i bombardamenti sui civili di Gaza. I sostenitori di Israele sono sempre stati complici o silenziosi di fronte ai crimini perpetrati.

Cari amici, eminenti delegati, Signore e Signori. Quali sono le cause profonde dell’ attacco statunitense all’Iraq o dell’invasione dell’Afghanistan?

C’è stata altra motivazione all’invasione dell’Iraq, oltre alla tracotanza della precedente amministrazione americana e alle crescenti pressioni da parte dei detentori di potere e ricchezza, intenzionati ad espandere la loro sfera di influenza, impegnati a rincorrere gli interessi dei giganti produttori di armi a danno di una nobile cultura con un bagaglio storico di migliaia di anni, e nello tempo tempo ad eliminare le minacce reali e potenziali al regime Sionista provenienti dai Paesi musulmani, conquistando il controllo e lo sfruttamento delle risorse energetiche del popolo iracheno?

Davvero, per quale ragione quasi un milione di persone è stato ucciso e ferito, e molti altri sono stati resi profughi? Perché il popolo iraniano ha dovuto soffrire perdite enormi, che ammontano a centinaia di miliardi di dollari? E perché i miliardi di dollari di queste azioni militari devono essere pagati dai cittadini americani? Non è vero che l’azione militare contro l’Iraq è stata pianificata dai Sionisti e dai loro alleati all’interno della precedente amministrazione statunitense con la complicità dei Paesi produttori di armi e dei detentori della ricchezza? E l’invasione dell’Afghanistan, ha forse ristabilito la pace, la sicurezza ed il benessere economico in quel Paese?

Gli Stati Uniti e i loro alleati non solo hanno fallito nel ridurre la produzione di oppio in Afghanistan, ma la sua coltivazione si è addirittura moltiplicata nel corso dell’occupazione. L’interrogativo fondamentale allora è – qual è stata la responsabilità e il ruolo svolto dall’amministrazione degli Stati Uniti e dei suoi alleati?

Erano lì in rappresentanza degli altri Paesi del mondo? Hanno ricevuto un mandato da essi? Sono stati autorizzati dai popoli del mondo ad interferire ovunque, e naturalmente soprattutto nella nostra regione? Oppure le iniziative intraprese sono un chiaro esempio di egocentrismo, di razzismo, di discriminazione o di violazione della dignità e dell’indipendenza delle nazioni?

Signore e Signori, chi è il responsabile dell’attuale crisi economica mondiale? Dove è cominciata? Dall’Africa, dall’Asia, o dagli Stati Uniti, per poi diffondersi attraverso l’Europa e i suoi alleati?
Per un lungo periodo di tempo, essi hanno imposto una regolamentazione economica iniqua, forti del loro potere politico. Hanno imposto un sistema finanziario e monetario privo di un appropriato meccanismo di controllo internazionale su nazioni e governi che non avevano alcuna parte negli orientamenti e nelle politiche di repressione. Non hanno neanche consentito ai loro cittadini di sorvegliare o monitorare le politiche finanziarie da loro adottate. Hanno introdotto una serie di leggi e regolamenti in spregio di qualsiasi valore morale, col solo obiettivo di difendere gli interessi dei possessori di ricchezza e dei detentori del potere.

Inoltre, hanno definito un concetto di economia di mercato e di competizione che ha negato molte opportunità economiche a disposizione di altri Paesi nel resto del mondo. Hanno persino affibbiato ad altri i loro problemi, mentre la crisi rimbalzava a ondate e affliggeva le loro economie con migliaia di miliardi di dollari di deficit di bilancio. E oggi pompano centinaia di miliardi di dollari di liquidi, presi dalle tasche dei loro cittadini e dalle altre nazioni, nelle banche che falliscono, nelle società e nelle istituzioni finanziarie, rendendo la situazione sempre più complicata sia per il sistema economico che per le persone. Sono semplicemente concentrati sul mantenimento del potere e delle risorse. Non potrebbe interessargli di meno dei loro cittadini, figuriamoci delle altre nazioni.

Signor Presidente, Signore e Signori, il Razzismo si sprigiona dalla mancanza di conoscenza del fondamento dell’esistenza dell’uomo come creatura prescelta da Dio. Rappresenta anche il prodotto della deviazione dal vero cammino della vita e dalle responsabilità dell’umanità nel mondo della creazione, laddove viene meno l’adorazione di Dio, e non si è più in grado di riflettere sulla filosofia della vita o sul cammino che conduce alla perfezione, gli ingredienti fondamentali dei valori divini e umani, per questa via restringendo l’orizzonte della visione dell’uomo e servendosi di interessi limitati e caduchi come parametro della sua azione. Questa è la causa per cui il potere maligno ha preso forma e ha accresciuto il suo regno di influenza, mentre altri venivano privati della possibilità di godere di eque e giuste opportunità di sviluppo.

Il risultato è stata la creazione di un razzismo a briglie sciolte, che pone le più gravi minacce alla pace internazionale, e che ostacola la strada alla costruzione di una coesistenza pacifica a livello globale. Certamente il razzismo è simbolo dell’ignoranza che ha radici profonde nella storia, e rappresenta, senza alcun dubbio, il segno della frustrazione nel progresso della società umana.

E’ dunque di importanza cruciale riconoscere le manifestazioni di razzismo nei singoli episodi e nelle società dove prevalgono ignoranza o difetto di conoscenza. Questa crescente consapevolezza generale e la comprensione della filosofia dell’esistenza dell’uomo sono lo strumento principale della battaglia contro le manifestazioni del razzismo, e rivelano la verità, secondo cui il genere umano si fonda sulla creazione dell’universo e la chiave per risolvere il problema del razzismo è costituito dal ritorno ai valori spirituali e morali e alla disposizione definitiva ad adorare Dio Onnipotente.

La comunità internazionale deve intraprendere iniziative collettive per risvegliare la consapevolezza nelle società afflitte, dove prevale tutt’ora l’ignoranza alla base del razzismo, così da arrestare la propagazione di queste manifestazioni maligne.

Cari Amici, oggi la comunità umana sta affrontando un genere di razzismo che sporca l’immagine del genere umano al principio del terzo millennio.

Il Sionismo Mondiale incarna quel razzismo che si affida falsamente alla religione e che abusa del sentimento religioso per celare il suo volto di infamia e di odio. Comunque, è di assoluta importanza portare allo scoperto gli obiettivi di alcuni dei poteri mondiali, e di quanti controllano enormi risorse economiche ed interessi a livello globale. Essi mobilitano tutte queste risorse, inclusa la loro influenza economica e politica sui media mondiali, per garantire un sostegno vano al regime Sionista e per sminuire colpevolmente l’indegnità e il disonore di questo regime.

Questa non è semplicemente una questione di ignoranza, e non si possono ridurre simili fenomeni a campagne di rappresentanza. Devono essere compiuti dei tentativi per porre fine all’abuso dei Sionisti e dei loro sostenitori politici internazionali, nel rispetto della volontà e delle aspirazioni di ciascuna nazione. I governi devono essere incoraggiati nelle loro battaglie volte a sradicare questo razzismo barbarico, e a procedere ad una riforma delle attuali procedure internazionali.

Non c’è dubbio che voi tutti siate consapevoli delle cospirazioni di alcuni poteri e dei circoli Sionisti, che sono in contrasto con gli scopi e gli obiettivi che si pone questa conferenza. Disgraziatamente, ci sono scritti e dichiarazioni a supporto dei Sionisti e dei loro crimini. Ed è dovere degli onorevoli rappresentanti delle nazioni svelare queste trame che procedono in senso opposto ai valori e ai principii umanitari.

Dovrebbe essere riconosciuto che boicottare una conferenza come questa, di straordinario livello internazionale, è un’indicazione evidente di supporto ad un esempio di razzismo manifesto. Nell’ambito della difesa dei diritti umani, è di prioritaria importanza difendere il diritto di tutte le nazioni ad un’equa partecipazione a tutti i processi di decisione internazionale, al riparo dell’influenza di certi poteri mondiali.

In secondo luogo, è necessario procedere ad una ristrutturazione delle organizzazioni internazionali esistenti e ai loro rispettivi ordinamenti. Ecco perché questa conferenza è un banco di prova, e l’opinione pubblica mondiale di oggi e di domani valuterà le nostre decisioni e le nostre azioni.

Signor Presidente, Signore e Signori, il mondo sta per affrontare fondamentali e rapidi cambiamenti. Le relazioni di potere sono diventate deboli e fragili. Il rumore delle crepe nei pilastri del sistema mondiale si può avvertire con chiarezza. Le più importanti strutture politiche ed economiche sono sull’orlo del collasso. All’orizzonte compaiono crisi politiche e di sicurezza. Il peggioramento della crisi economica, per cui non si riesce ad intravedere una prospettiva brillante, dimostra un’onda crescente di cambiamenti globali di lungo termine. Io ho ripetutamente enfatizzato la necessità di un cambiamento della direzione sbagliata verso cui il mondo è condotto oggi, e ho anche ammonito sulle funeste conseguenze in caso di ritardo di fronte a questa responsabilità cruciale.

Ora, nel corso di questo notevole evento, vorrei annunciare a tutti i leaders, agli intellettuali, alle nazioni del mondo presenti a questo incontro e a tutti coloro che aspirano alla pace e al benessere economico, che l’iniqua gestione economica del mondo è giunta al capolinea. Lo stallo era inevitabile, data la logica oppressiva e impositiva della gestione.

La logica di una gestione collettiva degli affari del mondo si basa su aspirazioni nobili, a loro volta imperniate sugli esseri umani e la supremazia di Dio l’Onnipotente. Perciò rifiuta qualunque politica o progetto che va contro l’influenza delle nazioni. La vittoria del bene sul male e la fondazione di un sistema mondiale giusto sono state promesse dall’Onnipotente e dai suoi messaggeri, ed è stato un obiettivo condiviso degli esseri umani appartenenti alle più diverse società nel corso della storia. La realizzazione di un simile futuro dipende dalla conoscenza della creazione e dalla fede.

La creazione di una società globale è infatti la realizzazione di un obiettivo nobile, raggiunto dalla costituzione di un sistema comune retto dalla partecipazione di tutte le nazioni del mondo a tutti i principali processi di decisione, e aderendo senza indugio a questo obiettivo.

Le capacità tecniche e scientifiche, così come la tecnologia delle comunicazioni, hanno reso possibile una comprensione comune e diffusa della società, e hanno reso disponibile la necessaria piattaforma per un comune sistema. Ora sta agli intellettuali, ai filosofi, ai politici adempiere alla loro responsabilità storica, credendo fermamente a questa idea.

Voglio anche porre l’accento sulla circostanza che il liberalismo ed il capitalismo occidentali hanno raggiunto il loro punto terminale anche in virtù della mancata percezione della verità relativa al mondo e agli esseri umani, per ciò che realmente sono.

Essi hanno imposto i loro propri obiettivi e la loro guida agli esseri umani, senza riguardo alcuno per i valori umani e divini, la giustizia, la libertà, l’amore e la fratellanza, ma vivendo esclusivamente in funzione di una competizione esasperata, e sull’assicurazione di interessi individuali e di gruppo di natura materiale.

Adesso dobbiamo imparare dal passato intraprendendo sforzi collettivi per affrontare le sfide presenti, ed a questo proposito, e a chiusura del mio intervento, vorrei attirare la vostra attenzione sui due aspetti importanti:

Primo, è assolutamente possibile migliorare la situazione esistente al mondo. Ma ciò può essere fatto solo attraverso la cooperazione di tutti i Paesi, in modo da sfruttare al meglio le potenzialità e le risorse esistenti. La mia partecipazione a questa conferenza è motivata proprio dalla convinzione in questa soluzione, e nella nostra comune responsabilità nella difesa dei diritti delle nazioni, di fronte alle sinistre manifestazioni del razzismo e schierandoci al vostro fianco, i filosofi del mondo.

Secondo, tenendo presente l’inefficienza degli attuali sistemi politici, economici e di sicurezza internazionali, è necessario concentrarsi sui valori umanitari e della fede, facendo costante riferimento alla vera definizione di esseri umani, che si basa sulla giustizia e sul rispetto dei diritti di tutti i popoli di tutti i luoghi del mondo, e riconoscendo gli errori trascorsi nella passata amministrazione fondata sul dominio, così da adottare misure collettive per riformare gli ordinamenti esistenti.

In questo senso, è di importanza cruciale una rapida riforma del Consiglio di Sicurezza, compresa l’eliminazione di un diritto di veto discriminatorio, ed il cambiamento dei sistemi finanziari e monetari mondiali.

E’ chiaro che sottovalutare l’urgenza del cambiamento equivale a sopportare costi di ritardo ancora più gravi.

Cari Amici, siate consapevoli che il movimento in direzione della giustizia e della dignità umana è come lo scorrere veloce di un fiume. Facciamo in modo di non dimenticare l’essenza dell’amore e dell’affetto. Il promesso futuro degli esseri umani è una ricchezza enorme che può servire i nostri propositi di costruire un mondo nuovo restando uniti.
Per fare del mondo un luogo migliore, colmo di amore e di benedizione, un mondo senza povertà né odio, benedetto dai crescenti doni di Dio l’Onnipotente e da una virtuosa condotta del perfetto essere umano, stringiamoci le mani in amicizia, per il raggiungimento di un simile nuovo mondo.

Ringrazio il Signor Presidente, il Segretario Generale e tutti gli illustri partecipanti per aver avuto la pazienza di ascoltarmi. Grazie di cuore.

Mahmud Ahmadinejad


Traduzione per EFFEDIEFFE.com a cura di Milena Spigaglia

18/04/09

Ciao Giano!

Intervista al prof Pio Filippani Ronconi.

Caballero en un caballo - y en su mano un gavilán"

Erano mesi che lo inseguivo. Non perché scappasse, ma la salute, ultimamente, lo aveva un po’ maltrattato, affaticandolo. Ho aspettato, e alla fine, eccolo qua: Pio Filippani Ronconi, classe 1920, è uno dei più grandi orientalisti viventi e professore emerito dell'università orientale di Napoli. Per elencare i suoi titoli e i suoi meriti avrei bisogno di un foglio allegato. Ma devo aggiungere che, in ogni caso, è arduo mettere su carta una delle qualità più nette di Pio Filippani Ronconi, la presenza, e di ancora più ardua resa è la chiarezza dei suoi silenzi. Ma proverò a raccontarvi tutto. Filippani è una delle ultime memorie storiche (e sapienziali) delle destre italiane: diversi autori che molti di noi amano leggere, lui li ha conosciuti e ne è stato amico (come Evola, ad esempio, o anche Massimo Scaligero, con il quale Filippani si esercitava nella meditazione: "Era un cammino molto placido, il suo. Conobbi anche il maestro di Scaligero, Egidio Colazza… Fu molto gentile con me, che al contrario ero poco propenso alla placidità, in quel tempo").
La sua partecipazione alla guerra con la divisa tedesca non gli procurò problemi a guerra finita - a parte gli arresti di fortezza ("molto poco romantici!") e il "parcheggio" nel campo di concentramento di Coltano - tanto da poter avviare, nel 1959, una carriera accademica di tutto rispetto all’Istituto orientale dell’Università di Napoli. Poco tempo fa, invece, chiamato a collaborare al Corriere della Sera, in qualità di illustre orientalista, ha dovuto subire un’epurazione ad opera del komintern di redazione, con il quale non ha voluto polemizzare ("L’acqua bagna, il fuoco brucia: è il dharma, come lo chiamano gli indiani… sarebbe a dire che ognuno fa le cose con i mezzi che ha. C’è gente che striscia nel fango e non può fare altro che inzaccherarti"). Certe miserie sembrano scivolargli addosso, come si suol dire: ma il bello è che nel suo caso è tutt’altro che un luogo comune.

Da dove è cominciato tutto? Cos’è che porta ancora dentro dell’inizio del cammino?

"Senz’altro i racconti della vita di mio padre… Ecco, vede?" dice indicando una vecchia fotografia appesa al muro dietro di noi, che prende luce dagli ampi viali dell’Eur, "mio padre è quel signore a cavallo. Il luogo dove si trova è la Patagonia. Aveva venduto i beni di famiglia per andare in quella terra sperduta. Portava il bestiame dall’Atlantico al Pacifico, a cavallo. La sua vita stessa era un’avventura da raccontare… Un giorno, aveva appena depositato i soldi incassati dalla vendita di una mandria che aveva portato valicando le Ande, quando i banditi assaltarono la banca, rubando tutto. Lui inseguì il "mucchio selvaggio" per tre giorni e tre notti".


Come Tex Willer!Un Tex Willer con la laurea in Ingegneria. Mio padre rappresentava per noi un polo di grande attrazione. Era un uomo che non si limitava ad insegnarci… che so… l’importanza dell’acqua, ma, anche per la vita che conducevamo, ci mostrava la necessità di raggiungerla anche nelle condizioni più difficili, come quella volta che dovette scavare un pozzo profondo ottantaquattro metri. E i suoi racconti, i racconti di famiglia, sono stati fondamentali per noi, bambini italiani lontani dall’Italia.


Perché fondamentali?

Perché mentre in patria si è omogenei all’elemento vitale in cui si procede, all’estero avevamo, come dire, una doppia o tripla esistenza. Io son vissuto in Catalogna, e nella vita quotidiana ci trovavamo in un ambiente che da una parte era spagnolo, e già non era il nostro, dall’altra, essendo in terra catalana, si odiavano gli spagnoli, e noi parlavamo il castigliano. E siccome la mia famiglia abitava in un palazzo di sette, otto piani, quindi molto moderno, ero letteralmente circondato da gente che parlava una lingua diversa da quella in cui io pensavo.


In italiano?
No, in castigliano.


I primi libri?
Cominciai a leggere molto presto. Amavo i racconti sul mondo mitico romano: erano, come dire, un’ancora di salvezza del nostro costume di vita. Ma il nutrimento della mia anima erano le gesta del Cid Campeador, che corrispondevano in tutto e per tutto all’insegnamento silenzioso di mio padre: io sentivo di dovermi comportare come un caballero. Fortunatamente ero nato in un ambiente non confortevole che mi consentiva di temprarmi. Mio padre mi aveva insegnato i principi della boxe… e anche mio figlio ora si diletta in quest’arte… ma nei miei tempi, e nei luoghi dove vivevo, il picchiare forte e picchiare per primo era assolutamente indispensabile, perché se no il giorno dopo mi sarei trovato altri quattro ragazzotti che mi avrebbero riempito di pugni. E in ogni caso ne andava dell'onore italiano!

Un italiano nato in Spagna, con il padre passato da Inghilterra, Carabi e Patagonia. Non era facile conservare chiarezza sulle proprie radici…

Non solo! Mia madre aveva iniziato la sua adolescenza a Massaua, dove il padre, mio nonno, lavorava presso il governo militare italiano: lui parlava perfettamente l’arabo classico e l’arabo comune. Non per niente, la prima lingua che ho imparato fuori della scuola, oltre all’inglese, è stato l’arabo.

A che età?

Quattordici anni. Eravamo poveri, così avevo risparmiato per un anno gli spiccioli per le piccole merende che portavo a scuola. Alla fine comprai finalmente una malridotta grammatica araba, che però non era quella giusta, era un dialetto parlato dai berberi: mio nonno mi indirizzò poi verso l’arabo puro. Subito dopo imparai il turco e più tardi, già in Italia, imparai il persiano… Ecco, vede? [indica un’altra foto, su una cassettiera] là sto conversando con lo Sha di Persia.

Aveva una certa facilità con le lingue.
Ma non era mica tanto facile! E’ che mi ci mettevo di buzzo buono! La mia giornata era divisa in due parti: la prima era impiegata a seguire la scuola… e non ero un bravo allievo, ero piuttosto sognante, mentre la scuola italiana era estremamente dura: studiavamo lo spagnolo, l’italiano, il francese, l’inglese… tutti i giorni avevamo molto da studiare, molto da fare ginnastica, corsa e altre cose del genere. Nella seconda parte studiavo da solo quel che piaceva a me. Anche il greco lo imparai da solo, come il turco e lo spagnolo antico. Una mia zia mi regalò poi una grammatica sanscrita, un dono preziosissimo; io avevo già studiato, sempre da solo, quelle che erano le migrazioni dei popoli arii, quindi il portato culturale delle varie tradizioni indoeuropee, come l’Edda poetica e in prosa e il sanscrito, mi consentì di approfondire quelle conoscenze. Molti anni più tardi imparai un’altra lingua scandinava, lo svedese, ma avevo già studiato l’antico norvegese, il norreno… Poi, vediamo… l’anglosassone, l’aramaico (ma non sono mai riuscito a togliermi quel fastidioso accento arabo), il tibetano, il cinese, un po’ il giapponese…

Prendiamo per buono il buzzo buono…
E’ che non si può galleggiare su quello che ci insegnano: bisogna approfondire!

Tornando alla difficoltà di conservare le proprie radici in una babele simile…
Vede, per me l’Italia era… come dire… il Paese Fatato. Eravamo poveri, dicevo, perché scontavamo la scelta di mio padre di tornare dalla Patagonia per combattere: perdette tutto quello che aveva. Lui sapeva quello che rischiava lasciando i suoi animali dall’altra parte del mondo, ma la sua risposta, alle nostre domande se non fosse cosciente di quello che avrebbe rischiato venendo in Italia, lui tranquillamente rispose che "siccome noi siamo signori, dobbiamo combattere e dobbiamo essere di esempio agli altri". C’era il mito della Patria, insomma, ma una patria estremamente spirituale, per cui il non esserle vicino fisicamente non rappresentava alcuna limitazione.

Suo padre come il Cid.

Il mio mondo iniziava con il Cid Campeador, visto che lo avevo tra i piedi: era un’immagine di coraggio. Avevo una vita intima in profondo contrasto con la povertà che dovevo assaporare… una vita che guardava ad un futuro eroico. Quando io partii per la seconda volta in guerra, da giovane ufficiale, mi affacciai al finestrino del treno e gridai Viva la muerte! Perché la bella morte era quel che di meglio potesse capitare per difendere la Patria… ciò per cui vale la pena di vivere: un uomo si educa per allevare i figli e per combattere, questo avevo sempre pensato fin da bambino, ascoltando i racconti di mio padre e Il cantar del mio Cid.

Il combattimento, insomma, nel Dna.

Ma la guerra è una delle funzioni umane! Nei tempi antichi si soleva dire che le dame odiano la guerra, ma amano gli uomini che la fanno.

E le popolane dicevano che "si nun è bbono per il re, nun è bbono manco pe’ la reggina".

Appunto. Inoltre a quindici anni trovai in una bancarella L’uomo come potenza, di Julius Evola… Lui mi presentava un quadro per superare la miseria del sopravvivere quotidiano e dava un senso al fatto che io cercassi sempre di combattere… Dio!, sono molto cambiato da allora, eh? L’uomo come potenza, dicevo, mi apriva una concreta esperienza di ordine metafisico più che religioso, e così quei canti epici che tanto amavo acquistavano una dimensione reale: io potevo davvero realizzare quello che la tradizione indoeuropea mi proponeva. E questa fu per me una grande scoperta.

La guerra fa parte dei racconti che ricorda da bambino?Certo. Fu l’esperienza di mio padre ad avvicinarmi a ciò che era la guerra. Lui era un pezzo d’uomo, molto forte… il contrario di me. Come dicevo, lasciò la Patagonia per combattere la Prima guerra mondiale, e si arruolò in un reparto qualunque. Poi, grazie alla sua prestanza fisica, venne assegnato ai "plotoni scudati", quelli che portavano un casco e uno scudo in acciaio per coprirsi, e andavano a mettere le cartucce di gelatina sotto i reticolati nemici. Era il racconto di un’esperienza concreta che ascoltavo con attenzione. Nella Seconda guerra mondiale venne il mio turno, e mi arruolai volontario nel Terzo Granatieri. Fui ferito un paio di volte, poi mi trovai ad essere molto malamente ferito il giorno dopo l’otto settembre 1943, ricoverato all’ospedale militare del Celio, a Roma. Il nove settembre mi resi conto che quello che avevo fatto fino ad allora non era altro che lo sfogo di un giovane studioso ed entusiasta; quello che avevo ancora da fare era qualcosa di molto più vicino all’ideale di uomo.

Ossia?

Lavare l’onta del tradimento. Mi trovai a combattere a Nettuno, con la divisa della Waffen SS, i reparti combattenti, tutta un’altra cosa rispetto alla SS Polizei… quelli ci hanno rovinato il nome. Insomma, costituimmo una squadra mista, italiani e tedeschi. Quando ci fu lo sbarco alleato facevo parte del Battaglione degli Oddi, il conte Carlo Federico degli Oddi, un vecchio ufficiale delle camicie nere, tenente colonnello. Al tramonto andavo con alcuni uomini a tagliare i reticolati e passarci sotto… Era un’esperienza molto bella, anche se il fatto di lasciarci la pelle era fatale. Oggi sono l’ultimo sopravvissuto di quel battaglione, l’ultimo di quei settecento: il settanta per cento morirono a Nettuno. Era un compito duro, non pensavamo alla gloria… era la gioia di vivere davvero, malgrado rischiassimo la morte.

Una fratellanza d’armi.

Precisamente. Una cosa molto profonda, che mi riportava al cuore le emozioni vissute sulle pagine lette da ragazzino. E’ ancora il Cid Campeador, che… [silenzio, chiude gli occhi, poi ritorna con un sorriso] "Caballero en un caballo - y en su mano un gavilán; por hacerme más enojo - cébalo en mi palomar; con sangre de mis palomas - ensangentó mi brial. ¡Hacedme, buen rey justicia, - no me la queráis negar! Rey que non face justicia - non debía de reinar…" [poi si ferma di nuovo e chiude gli occhi, scuote la testa e li riapre, guardandomi]… Che peccato, dimentico più di quel che riesco a ricordare…

E’ sempre molto di più di quel che sappiamo noi (dico sorridendo a Rodrigo, suo figlio, seduto accanto a me).

Non è una consolazione, ma tant’è.

In guerra è riuscito a continuare i suoi studi, in qualche modo?

Altro che in qualche modo! Riuscivo a concentrarmi dovunque. Tanto per farle capire, una volta, in Africa orientale, uscito in missione per misurare la posizione delle batterie inglesi, mi immersi con tanto piacere nei calcoli riportati sulla pagina scritta che dimenticai di trovarmi a pochi metri dai nemici e mi misi a camminare senza precauzioni: fecero il tiro al bersaglio, fortunatamente senza conseguenze. In seguito, la vicinanza con i tedeschi mi ha permesso d’imparare la loro lingua, che mi è tornata molto utile nel corso degli studi. Seguendo una mia via, poi, senza quasi rendermene conto ho intrapreso la carriera accademica, fino a diventare professore ordinario di Religioni e filosofie dell’India. Il fatto è che avevo un’ottima memoria… E sottolineo la forma passata del verbo avere.

Laurea in…

Indologia, tornando al vecchio amore. Subito dopo la laurea andai in Persia.

Ma il fatto di aver continuato la guerra nella Repubblica sociale, inquadrato nelle SS combattenti, le creava problemi nei rapporti con gli altri studenti e con i professori?

No. Anche per il fatto molto semplice che non frequentavo molto, ero solitario. Quasi tutte le lingue da studiare, ad esempio, le avevo già imparate da solo, quindi non avevo bisogno di seguire le lezioni.

E con il lavoro?

Nemmeno. Avendo la fortuna di conoscere molte lingue riuscivo a guadagnare facendo, ad esempio, un periodo da segretario ad un ministro sudamericano, poi doppiaggi cinematografici e, un po’ più a lungo, alla radiodiffusione per gli Esteri.

Nel frattempo lavorava su se stesso.

Sì, in ogni senso, non solo spirituale o mentale. Mio padre mi aveva insegnato i primi rudimenti del pugilato, che lui aveva imparato quando era studente a Londra, e quando ero arrivato a Roma, a sedici anni, ero passato nelle mani di Enzo Fiermonte.

Un mito per il pugilato romano.

Ho praticato anche Judo, Aikido… tra l’altro, poco tempo fa, ho guadagnato la cintura nera…

A quanti anni?

Ottantadue. E la cintura nera è, in qualche modo, simbolo di una iniziazione. Nel senso che io resto il solito quotidiano imbecille, però dentro di me ho altre esperienze di genere più… più concreto.

Alcuni anni dopo la fine della guerra ha anche fondato l’Urri, acronimo di Unione rinnovamento ragazzi d’Italia.

Sì. E l’ho mantenuto. Un impegno forte. Le domeniche le passavamo in montagna, tra escursioni, corsi di alpinismo. La montagna è maestra, e chi sale con te deve essere tuo fratello, perché la sfida alla natura è senza mezze misure o infingimenti: se sbagli paghi. I ragazzi venivano preparati anche in speleologia e archeologia; molti diventarono parà. Un gruppo di ragazzi in gamba, che preparavo anche alla meditazione profonda. Ma che tenni lontani dalle beghe politiche.

Da cosa era mosso?
Dalla necessità di riscrivere il mondo, cominciando da me stesso. Cercavo di mettere le mie deboli forze sotto i piedi, perché o si vive o si muore, ma se si vive bisogna darsi un po’ da fare. Esercitarsi col fisico, esercitarsi con la mente, esercitarsi con lo spirito.

L’Urri riassumeva le due linee guida della sua vita: lo studio e il combattimento.
Certo, perché a quel tempo era ancora palpabile il rischio di uno scontro fra i due blocchi nati dopo la fine della Seconda guerra mondiale, e la preparazione spirituale doveva andare di pari passo con quella fisica… come peraltro insegnavano i romani. Ma "Urri" non è soltanto una sigla, è soprattutto un termine vedico che indica il dio che sopravvive al tramonto degli dèi. Mi ispirai a questa figura: esser capace di fare qualsiasi cosa. Un po’ in contrasto con questo vecchio malandato che le sta parlando!

Le pesa la vecchiaia?

Bah, non me ne importa un fico secco, anche se dimentico molte cose. Ho avuto la possibilità di vivere la poesia, nel senso greco di poiesis, la bellezza di esprimere me stesso in quella che era la vita di un caballero. Ma sono passato attraverso queste esperienze come… come un divertimento

17/04/09

I soldi che il Nord succhia al Sud.


(Cliccare sul grafico per ingrandirlo).

Di questi 25 195616486, 86 euro quanti ne ritornano?
Qualche dato, tra i molti ai quali si potrebbe far riferimento, suscita particolare impressione. Già nel 1998, era stato deciso, non senza solennità, di destinare allo sviluppo del Mezzogiorno, per aiutarlo a recuperare il deficit nei confronti delle regioni più avanzate, il 45% della spesa in conto capitale. Si è fatto, invece, il contrario, tant’è che la spesa in conto capitale, nel periodo 2001- 2006, è aumentata nel Sud del 5,7% e al Centro-Nord del 23,2%. E ancora: nel decennio1996-2006, le imprese pubbliche nazionali hanno effettuato al Sud un sesto della spesa in conto capitale e quasi un quarto, invece, nel Centro-Nord. Quanto alla spesa pubblica corrente – ci riferiamo a mo’ d’esempio al 2006, ma il trend è rimasto sostanzialmente invariato – essa è stata, in Italia, pari a 14,141 euro pro capite dei quali 15,719 al Centro-Nord e11,253 nelle regioni del Sud. La questione meridionale, insomma, sembra destinata a riproporsi in termini pressanti se è vero che, secondo un altro recente studio della Confindustria, il reddito del Mezzogiorno è superato anche da quello di paesi da poco entrati a far parte dell’Unione europea come la Repubblica ceca, la Slovenia, Malta e Cipro. C’è di che riflettere. Ma con una certa urgenza perché il malumore cresce, la frustrazione anche. E l’uno e l’altro sono pessimi consiglieri, destinati, come spesso è accaduto in passato, a favorire l’insorgere di forme di protesta difficili da controllare.

Giano Accame, ultimo ragazzo di Salò

Addio all'intellettuale di destra amato a sinistra. Esempio di coerenza e democrazia.

Schivo com'era non mi aveva fatto sapere niente della sua malattia. Sicché alla sua morte non ero neppure lontanamente preparato, tanto che contavo di andargli a fare visita tra qualche giorno. Non mi sorprende pensandoci adesso che non c'è più: Giano Accame era fatto così. I suoi dolori privati (e quanti ne aveva avuti!) se li teneva per sé come se provasse fastidio a coinvolgere gli amici nelle sue pene, a farli partecipi di ciò che poteva turbarli. Era un uomo antico che manifestava con parsimonia i suoi sentimenti, la delicatezza del suo animo, le intime gioie come le sofferenze più acute. E soprattutto era votato ad una impersonalità attiva che lo portava a privilegiare la diffusione delle idee, la conoscenza, una certa visione del mondo e della vita piuttosto che la rappresentazione di se stesso. Perciò con coerenza non cercava il proscenio, ma piuttosto i sentieri impervi che lo portavano di frequente laddove non c'era nessuno, uno spazio ideale e culturale che ha dovuto faticare non poco per far uscire dall'ombra. L'attraversamento del bosco, metafora jungeriana alla quale Accame era particolarmente affezionato, gli ha fatto incontrare i suoi simili e coloro che erano profondamente diversi da lui. Con tutti è riuscito, in sessant'anni di attività intellettuale e politica, a stabilire un dialogo che superasse le lacerazioni proprie della modernità fino a trovare sintonie quasi irreali in un modo dominato dalle apparenze. È stato così che s'è imposto, nonostante le diffidenze dominanti, all'ammirazione di coloro che non ha mai reputato nemici e neppure avversari, ma soltanto di opinioni dissimili dalle sue. E per questa via, certamente non agevole, forse più di altri della sua generazione ha contribuito alla legittimazione di quella che può darsi impropriamente chiamavamo "cultura di Destra" al tempo delle contrapposizioni radicali e delle feroci discriminazioni civili. Ma il cosiddetto "superamento degli steccati" per Accame non è mai stato l'alibi per annacquare le proprie idee, per contrabbandare la sua particolare concezione della storia e soprattutto la percezione che aveva interiorizzato del Novecento. Si metteva all'ascolto e riusciva a cogliere le contraddizioni degli interlocutori più attrezzati, ma in buona fede, volgendoli a vantaggio della cultura dei "vinti", degli esclusi, di coloro che non avrebbero mai dovuto avere cittadinanza nell'Italia egemonizzata dall'ideologia marxista ed azionista. A dire la verità, le definizioni non piacevano molto ad Accame il quale, da intellettuale raffinato, era capace di intendere le ragioni degli altri, di storicizzarle, di farle confluire nel grande mare di una cultura nazionale da ricomporre pena la fine della stessa idea di nazione. C'era un'ansia pacificatrice in Accame, insomma, che non si esauriva nell'attività di giornalista, di saggista, di animatore culturale, di agitatore di questioni "cruciali", di rivisitatore di autori scomparsi dai cataloghi dei grandi editori, di raccontatore di avventure dello spirito prima che delle idee come la Rivoluzione conservatrice tedesca, il "fascismo immenso e rosso" che non coincideva con quello storico, di un "socialismo tricolore" tutto da inventare quale pilastro di una nuova rivoluzione che conciliasse solidarietà e libertà, mercato e comunità, istanze individuali e bisogni collettivi. Un'ansia che si profondeva soprattutto nel cercare tra le pieghe della vicenda nazionale le ombre di una grandezza perduta non in chiave sciovinistica, quanto per dare un senso all'"unità di destino" che un Paese deve necessariamente avere se non vuole rinunciare ad essere soggetto storicamente rilevante. Quando nel 1980 gli chiesi di scrivere la prefazione al mio saggio su Carlo Costamagna, suo amico e maestro, fu particolarmente felice perché l'occasione gli parve propizia a saldare un vecchio debito di riconoscenza con uno dei più grandi pensatori del Novecento, ma anche perché, attraverso lo studioso ligure, poteva dimostrare quanto la cultura italiana fosse immersa in quella europea capovolgendo l'assunto secondo il quale era invece estranea ad essa. E dunque la rivendicazione della continuità tra le esperienze intellettuali degli anni Trenta e la modernizzazione di un pensiero "tradizionalista" ben presente nel dopoguerra italiano è stata per Accame quasi una sorta di missione tesa a "gettare" i semi di una rinascita politica attraverso la fioritura del dibattito intellettuale. A tal fine fu vicino, negli anni Settanta, alla corrente culturale della Nuova Destra; diresse con questo spirito il "Secolo d'Italia" dal 1988 al 1991; scrisse libri che hanno lasciato il segno; sostenne dibattiti sulla modernizzazione delle istituzioni fedele a quel presidenzialismo colto a piene mani dalla collaborazione con Randolfo Pacciardi ed il movimento Nuova Repubblica. L'eredità di Accame è nella sua opera, ma anche nell'esempio offerto alle generazioni più giovani. A ottant'anni era un vecchio ragazzo, fedele agli ideali della sua giovinezza e ad una storia che viveva nelle sue carni. Non dimenticherò le pieghe amare sul suo volto quando si sentiva tradito da coloro nei quali aveva riposto fiducia. E ricorderò sempre il suo sorriso quando scopriva le sue verità nelle parole di chi gli era lontano.

Ci mancherà come può mancarci un maestro perduto.

Gennaro Malgieri

15/04/09

La previsione di Saviano.

"Io so e ho le prove. So come è stata costruita mezz'Italia. E più di mezza. Conosco le mani, le dita, i progetti. E la sabbia. La sabbia che ha tirato su palazzi e grattacieli. Quartieri, parchi, ville. A Castelvolturno nessuno dimentica le file infinite dei camion che depredavano il Volturno della sua sabbia. Camion in fila, che attraversavano le terre costeggiate da contadini che mai avevano visto questi mammut di ferro e gomma. Erano riusciti a rimanere, a resistere senza emigrare e sotto i loro occhi gli portavano via tutto. Ora quella sabbia è nelle pareti dei condomini abruzzesi, nei palazzi di Varese, Asiago, Genova".
(Gomorra, pagina 236).

Il deputato «in aspettativa» per scavare tra le macerie.

Da otto giorni ha abbandonato la sua grisaglia da deputato per vestire la tuta blu da volontario della Croce rossa: «Mi creda: smettere simbolicamente di essere un onorevole, per diventare uno come tanti, in un momento come questo è un esperienza bellissima».
Una doppia coincidenza: Marcello De Angelis, deputato del Pdl, è abruzzese, ed era entrato nel gruppo dei volontari da qualche mese. Curiosamente aveva iniziato la sua «carriera solidale» con una missione di assistenza che dall’Abruzzo portava farmaci a Gaza. Ora la rotta è invertita. Da otto giorni lavora tra le macerie della sua terra, e ha imparato moltissimo: «La prima lezione, purtroppo, sfata qualche mito buonisita: gli aiuti episodici, disorganizzati e volontaristici, spesso servono poco o nulla, talvolta creano problemi. Molti convogli sono stati rimandati a casa: richiedono assistenza logistica, che si somma all’emergenza. E poi ingombrano la scena impacciando i soccorritori». Detto questo, nelle prime ore, molti volontari sono stati decisivi: «La storia che non dimentico - racconta De Angelis - è quella di due ragazzi di Napoli. All’alba di lunedì, appena saputa la notizia, sono andati davanti al loro forno, hanno riempito la macchina di pane, e lo hanno distribuito nel primo campo che hanno raggiunto, già alle sei!».De Angelis, però, non dimenticherà nemmeno i momenti di rabbia: «I pompieri avevano appena estratto un ragazzo. E, come sempre, per fortuna lo avevano protetto infilandolo in un involucro». Protetto da cosa? «Dalla muraglia di fotografi e operatori. Che facevano il loro mestiere, certo. Ma che hanno fatto imbufalire un amico del ragazzo, certo non a torto». Il lavoro più difficile? «Quando l’ufficio stampa della Croce rossa mi ha chiesto di contare le bare per un comunicato stampa. Vivi per giorni in mezzo al dolore: ma quando devi fare di conto con la morte ti crolla il mondo addosso». Un gesto bello e imprevisto? «La filiale Gs dell’Aquila. Hanno aperto le porte del supermercato e hanno detto: chi vuole prenda quello che gli serve». Ma di contro, c’è anche il rammarico: «C’è una tendopoli che sorge fra due centri commerciali. Gli scampati non hanno nulla, e i due magazzini per loro restano chiusi. Uno sta trasferendo le merci per venderle altrove! Legittimo, per carità. Ma anche uno spreco orribile». Poi una regola non scritta: «Non perché io sia abruzzese… Ma in tutte le missioni che abbiamo fatto, in ogni distribuzione di generi di conforto a cui ho assistito, non ho mai visto una persona che andasse fuori misura, uno che non rispettasse la fila». E poi, alla fine, la paura più grande: «Adesso - dice De Angelis - dopo aver dato vestiti, un tetto e del cibo, ci sono due rischi. Il primo: risvegliarsi in una ghost town in cui non ci sono più uffici, università, lavoro». Il secondo: «Il tempo: prima o poi, i riflettori dei media si spegneranno. E allora inizieranno i problemi veri».

Luca Telese

14/04/09

Lo sciacallaggio di Libero.

C'è una categoria di sciacalli che col terremoto sta lucrando e che, purtroppo, non sarà mai penalmente perseguibile. Si tratta di quei giornalisti, che privi di qualsiasi morale, usano la tragedia per tornaconto personale. E' il caso di Santoro, ma anche dei pennivendoli che scrivono su Libero, il peggior quotidiano attualmente in circolazione. Giovedì è capitato di leggere a chi scrive un articolo non firmato in cui si sosteneva che il mondo islamico aveva esultato alla notizia del terremoto che aveva colpito l'odiato occidente e si citavano, quali fonti di prova, i messaggi di due utenti di un forum internet di cui non è stato nemmeno indicato l'indirizzo per controllarne la veridicità. Pertanto, secondo il quotidiano di Feltri, il fatto che due fanatici (dei quali l'esistenza non è stata dimostrata!) abbiano scritto dei messaggi deliranti (forse non veri), dimostrerebbe che tutto il mondo islamico ci è ostile.

Ora, se in qualsiasi giorno dell'anno, magari oggi, apriamo la pagina di Libero riservata alle lettere dei lettori e usiamo lo stesso parametro di valutazione adoperato dal giornalista senza nome, potremo sostenere che Libero è un quotidiano che odia i meridionali. Capita, infatti, di trovarvi il pensiero di un certo Livio Cepollina di Torino che scrive: "Anteprima cinematografica. Raoul Bova si è recato a Scampia, alla periferia di Napoli, per presentare Sbirri. Forse è la prima volta che se ne vedono da quelle parti"; oppure la brillante analisi politica di tal Paolo Romani (non il sottosegretario), il quale, pur di insultare il governatore Raffaele Lombardo, insignisce la Sicilia del titolo di "regione più mafiosa d'Italia". Secondo quest'ultimo lettore, infatti, Lombardo è un presidente voluto dai mafiosi perchè ha accolto con favore la bocciatura nel pacchetto sicurezza dell'emendamento - questo sì barbaro! - voluto dalla Lega che allungava da 6 mesi ad un anno il periodo di permanenza dei clandestini nei CPT. Cosa c'entri la posizione di Lombardo in merito a questo provvedimento con la mafia, non ci è dato saperlo. Possiamo solo concludere che, per il lettore, esprimersi a favore della libertà personale delle persone - articolo 13 della costituzione che, secondo la giurisprudenza della Consulta si estende ad ogni persona e non limitamente ai cittadini - significa essere filomafiosi, anche se si sostiene che 6 mesi dovrebbero essere più che sufficienti per l'identificazione e l'eventuale espulsione.

Se volessimo prender per seri questi commenti, dovremmo concludere che i lettori/giornalisti di Libero odiano i meridionali così come i musulmani - sempre secondo il quotidiano paraleghista - odiano gli Italiani, ma sappiamo che l'apodosi è una falsità e quindi consideriamo vera solo la protasi, cioè che Libero è antimeridionale.

Del resto a sbugiardare le sue tesi antislamiche, ci pensa Libero stesso. Il giorno successivo all'articolo senza firma citato, Magdi Allam ha scritto che far partecipare ai funerali di stato di L'Aquila un esponente dell'Ucoii(Unione comunità ed organizzazioni islamiche in Italia) significherebbe dare una mano ai fondamentalisti.

Se prendiamo per buona la tesi di quest'ultimo, dobbiamo per forza contestare la premessa dell'articolo senza nome: perchè gli islamici esulterebbero platealmente per il terremoto se poi la sua organizzazione italiana più estremista si reca ai funerali di stato per le vittime? Secondo la logica matematica solo uno dei due articoli può contenere una verità, anche se poi in realtà nessuno dei due ha un fondamento. Come, del resto, è per Renato Farina che domenica scorsa ha sostenuto che i disordini creati dai noglobal al G20 di Londra hanno agevolato i terroristi islamici. Secondo quale nesso non si sa. A Libero la logica non è di casa, gli insulti invece sì e, se fossi musulmano, un pochino di sicuro mi irriterei così come mi irrito leggendo gli insulti che i vari Gianlugi Paragone scrivono contro i meridionali pur di appagare lettori come tal Livio Cepollina (cognomen, omen, che fa piangere) da Torino o Paolo Romani.

13/04/09

Ma facebook serve davvero?

Facebook è sicuramente uno strumento utile per riallacciare i contatti con persone lontane e per mantenerne vivi i rapporti condividendo notizie, immagini e pensieri. Spesso ha sostituito l'email e il cellulare, permettendo uno scambio di informazioni più immediato, ma è pur sempre solo un mezzo. Cosa che non sembra più essere. Da quando è divenuto l'argomento di conversazione preferito dei miei conoscenti, sto pensando seriamente di ribellarmi alla tecnologia ispirandomi al luddismo, ossia a quel movimento inglese del '700 inaugurato involontariamente da Ned Ludd quando distrusse per protesta il telaio con cui lavorava. Allora si protestava contro l'introduzione delle macchine sul lavoro, oggi bisognerebbe farlo contro il dominio della tecnologia sulla vita della persone. Su facebook ho ritrovato quei compagni di elementari, medie, liceo, università e di viaggio di cui avevo quasi perso la memoria. A tutti, dopo aver risposto alle solite domande da ficcanaso (che fai, ndo stai, ndo vai..), non ho saputo che dire e ho finito per ricordarmi tutti i motivi per i quali con quelle persone non avevo più nessun rapporto. Vi ho trovato anche alcune ex. Una, che si definiva fascista, ora lavora in un circolo Arci; un'altra - invece - è finita a vivere in Trentino ed è leghista. Tra le mie amicizie virtuali c'è anche una ragazza che al liceo mi veniva dietro e che ignoravo perchè la consideravo troppo quequera e amorale. Ho scoperto che ora ricopre un ruolo dirigenziale nel PD: tutto sommato avevo ragione. Un paio di settimane fa, dopo tanti anni, l'ho incontrata per puro caso a Napoli e, se non l'avessi fermata quasi rincorrendola, non mi avrebbe salutato. Su facebook mi ha chiesto l'amicizia, nella vita reale però ha cercato di evitarmi. Tutto sommato anche lei ha ragione. I rapporti è meglio tenerli con quelle persone con cui ti vedi, diverti e confronti in strada; non con perfetti sconosciuti che fingi di ritrovare.

Fini come Pilato.

Naturalmente va specificato che Pilato stava con i romani, mentre Fini è con gli ebrei.

11/04/09

Suicida per la vergogna di un padre camorrista

«Chiedo scusa a tutti, tranne a papà». Per quel ragazzino di 12 anni il genitore camorrista era un modello negativo. Per lui e per il fratello di 15 anni, ammazzato con un colpo di pistola alla testa in un agguato. Quella morte l’aveva segnato in maniera indelebile, tanto da spingerlo, ieri pomeriggio, a togliersi la vita. La lettera d’addio, trovata dai genitori nell’appartamento di Villaricca, è colma di rancore verso il padre. Per gli investigatori l’uomo è ben inserito nell’organigramma del clan dei Casalesi. Era il 1978, aveva 18 anni quando uccise un rivale e iniziò così la carriera criminale fatta di lunghi periodi di detenzione. Oggi è libero ed è stato proprio lui a scoprire il corpo del figlio impiccato nell’abitazione di famiglia. I carabinieri hanno trovato acceso il computer del giovane, era in funzione Messenger, il programma che permette l’invio di messaggi immediati tra due persone. Da qui l’ipotesi che il tredicenne avesse annunciato il gesto agli interlocutori virtuali, e che magari qualcuno abbia inutilmente provato a dissuaderlo. Un’ipotesi che i militari accerteranno esaminando il pc. Il ragazzo aveva nove anni quando il fratello Sebastiano venne ammazzato, il 10 marzo 2005.

Minorenne la vittima, e i suoi carnefici. Ucciso per «vendicare» un tentativo di rapina: Sebastiano aveva provato a portar via con la forza un motorino a Scampia, il derubato aveva chiamato un gruppo di amici che avevano inseguito il giovane fino a raggiungerlo in una strada isolata: lì lo avevano aggredito in dieci, picchiandolo e poi finendolo con un colpo di pistola alla nuca. Cinque persone sono state arrestate per l’omicidio e sono state tutte condannate. Di quella morte il fratello incolpava il papà camorrista che, come ha scritto nella lettera, «non sopportava più».

09/04/09

Roma-Milano in 3 ore. E al Sud?

Ora, partendo da Milano, si può raggiungere in treno il centro di Roma in sole 3ore, da Napoli in una sola. Presto sarà operativa anche la linea diretta tra Torino e Salerno. Più a Sud, però, viaggiare diventa molto difficile. Chi voglia muoversi dalla Calabria o dalla Sicilia non ha nè una rete autostradale nè ferroviaria vagamente dignitosa. Infatti le Regioni sono costrette ad erogare dei finanziamenti ad aziende private di autobus per dare ai pendolari un servizio. Per percorrere la Messina-Catania, la Salerno-Reggio o la Caserta-Roma ci vogliono ben più delle tanto pubblicizzate 3 ore della tratta Roma-Milano. Il raffronto è purtroppo necessario farlo con autostrade, perchè viaggiare in treno a Sud di Salerno è ancora più impegnativo ed è facilmente comprensibile che un territorio senza una rete di trasporti efficiente ben difficilmente potrà svilupparsi.